È guerra: bentornati nel 1989

L’impensabile è accaduto: l’invasione russa dell’Ucraina fa ripiombare il mondo in piena guerra fredda, con tutti i rischi, anche nucleari, che questo comporta.

 

 

A pensarlo solo la scorsa settimana la cosa era improponibile; ma anche fino a mercoledì sera erano in pochissimi a crederlo. Eppure è successo: la Russia ha invaso militarmente l’Ucraina, aprendo scenari incerti e molto, molto pericolosi.
La scelta di Putin di mandare all’aria le trattative, finora infruttuose, segna un gravissimo ed incontrollabile cambio di passo. L’utilizzo delle armi, con un attacco lampo che ha puntato al cuore del territorio ucraino e col chiaro obiettivo di occupare anche la capitale Kiev, non poteva non far scattare le sirene d’allarme nelle caserme NATO e causare una risposta della quale nessuno al mondo ha chiaro dove possa portare.

 

 

Putin aveva inizialmente un solo obiettivo: quello di tenere fuori l’Ucraina fuori dalla NATO e dall’Unione Europea, e c’era praticamente riuscito. Le ritrattazioni dei vari politici occidentali e la bugia ripetuta in questi giorni dai media sul fatto che l’ammissione ucraina all’interno del Patto Atlantico non fosse mai stata sul tavolo evidenziano come la vittoria diplomatica di Putin fosse ormai prossima.

Poi cosa è successo? Difficile capirlo. Forse Putin ha pensato ad un tentativo occidentale di tirarla per le lunghe e ha considerato questa l’unica occasione, non ripetibile in futuro, di prevenire un’espansione della NATO fino ai confini con la Russia; o forse ha puntato ad ottenere una lingua di terra che colleghi direttamente la Crimea (che ospita la flotta russa del Mediterraneo) con l’entroterra. Difficile, se non impossibile, che la motivazione sia quella di tutelare i russi che vivono nelle autoproclamate repubbliche separatiste.
Di fatto però, questo attacco ha ricompattato un occidente dalle anime e dalle priorità diverse, che oggi lavorano sotto un’unica bandiera per contenere la minaccia russa. Il dislocamento di truppe NATO lungo tutti i confini orientali dell’alleanza è un segnale preoccupante anche se non inaspettato.

 

 

È evidente che all’interno dell’establishment russo non ci sia unità di visione, tanto che il Ministro degli Esteri Lavrov, lo stesso che ha irriso il nostro Di Maio per la ridicola missione diplomatica puramente di facciata avvenuta nei giorni scorsi, ha fatto capire che ci sono crepe e dissensi fra chi è vicino a Putin (lui incluso). Fatto sta che Putin ha girato la chiave di quel meccanismo che può potenzialmente portare ad un olocausto nucleare.

È inutile nasconderlo: il rischio esiste. Tutte le simulazioni e gli studi fatti ai tempi della guerra fredda hanno sempre parlato di scontri locali, piccoli ingaggi tra forze indipendenti con il lento ma inesorabile coinvolgimento dei due fronti; poi un’escalation dovuta a qualche colpo lungo le linee occupate dagli eserciti NATO e URSS, qualche piccola rappresaglia seguita da altre più consistenti, fino a uno scontro più ampio tra le forze regolari. Da qui, l’utilizzo di qualche bomba nucleare tattica ed infine lo scambio di missili strategici nucleari, in un gioco in cui nessuno vuole perdere la faccia ma per il quale tutti perdono.

 

 

Il coinvolgimento di un paese terzo è già in atto; la Bielorussia non ha solo offerto una sponda dalla quale far entrare le truppe russe in Ucraina, ma ha offerto i propri soldati per supportare l’offensiva militare. Critica è poi la presenza delle basi militari russe in territorio moldavo, paese già in orbita Unione Europea.

La NATO ha affermato tramite Stoltemberg che non interverrà militarmente, ma diversi leader europei hanno fatto intendere il contrario, a partire da Boris Johnson e Macron. Il rischio che si possa arrivare ad uno scambio di armi nucleari tattiche, come lasciato intendere da Putin durante il suo messaggio alla nazione di ieri notte, è concreto.
Intanto i russi hanno occupato l’area della centrale di Chernobyl; nella giornata di ieri ci sono state notizie contrastanti in merito alla possibile distruzione di un deposito di scorie, lancio di agenzia poi non confermato – ma al momento non è facile capire cosa sia realmente successo.

Nel migliore dei casi, l’Europa andrà incontro ad un nuovo periodo di altissima tensione e di grandissimi problemi economici ed energetici. Se al momento il prezzo del gas è aumentato di un ulteriore 40%, è possibile che in seguito alle sanzioni la Russia stacchi la spina e rigiri la sua produzione alla Cina, che come ipotizzavamo appena un paio di giorni fa sta già approfittando della situazione. E comunque, a pagare il prezzo delle sanzioni russe saranno gli stati europei che dovessero (dovranno) continuare a comprare dalla Russia gas ed altri prodotti energetici.

Ma torniamo alla Cina: se afferma che definire l’attacco russo una invasione “è un preconcetto dell’occidente”, qualcosa di imbarazzante ed indifendibile, è evidente che non c’è fine alla negazione della realtà che può venire da quel paese; esattamente come per il Covid. È quindi altamente possibile che la Cina, approfittando della debolezza del mondo occidentale e dell’attenzione completamente spostata nel cuore dell’Europa, possa sfruttare il momento per forzare la mano su Hong Kong e Taiwan magari anche con un intervento militare, prendendo il controllo dei due stati che vogliono disperatamente riaffermare la propria indipendenza e che il colosso asiatico considera due spine nel fianco e due problemi da risolvere per silenziare anche la crescente ma strisciante presa di coscienza della propria opinione pubblica.

Ci attendono tempi molto cupi e dagli esiti imprevedibili, specialmente considerando l’inettitudine dei leader politici espressi dal mondo occidentale.

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