Taiwan è l’obiettivo primario della strategia cinese ma anche altri dossier influenzano l’attuale posizione del Governo di Xi Jinping.
Nei giorni scorsi la Presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha compiuto un viaggio istituzionale negli Stati Uniti d’America suscitando il malumore di Pechino; la leader del piccolo Stato asiatico non ha incontrato il Presidente USA Joe Biden ma lo speaker della Camera dei Rappresentanti, Kevin McCarthy, incontro speculare a quello avuto lo scorso agosto a Taipei con Nancy Pelosi, predecessore di McCarthy. Oggi come allora la Repubblica Popolare ha risposto con esercitazioni navali ad ampio raggio che hanno creato una tensione altissima nello Stretto di Taiwan.
L’attuale strategia americana sembra voler legare l’Esecutivo taiwanese alle proprie istituzioni democratiche simbolo del sistema legislativo; l’incontro ripetuto di Ing-wen con una delle massime cariche degli organi elettivi statunitensi associa la questione di Taiwan ad un paradigma democratico che, secondo l’Occidente, sarebbe a rischio nella piccola isola a largo della Cina.
Pechino, come risposta, ha simulato azioni d’attacco su obiettivi chiave taiwanesi; inoltre ha giocato sullo stesso livello statunitense, quello diplomatico. La Repubblica Popolare ha ospitato l’ex leader di Taiwan, Ma Ying-jeou, primo Presidente nella storia (in carica o ex) a recarsi in territorio cinese. La visita ha avuto carattere privato ma per via della propria unicità la notizia ha avuto eco in tutto il mondo. Come è stato per Ing-wen, Ying-jeou non ha incontrato Xi ma il Direttore del Dipartimento per gli affari taiwanesi, Song Tao, al quale ha confermato la propria lealtà al principio della Cina unica.
Il carattere diplomatico dell’attuale strategia cinese ha continuato nei giorni seguenti con le missioni a Pechino della Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, e del Presidente Francese Emmanuel Macron. Quest’ultimo si è recato presso Xi principalmente per siglare accordi economici e rafforzare la posizione francese quale interlocutore principale in territorio UE. Von der Leyen ha invece interpretato il proprio viaggio in funzione di dissuadere la Cina dall’utilizzo della forza verso Taiwan cercando inoltre un appoggio cinese come sponsor per la pace in Ucraina.
Questa volta le esercitazioni di Pechino non sono state intense come le precedenti per un motivo ben preciso che riguarda il ruolo che la potenza asiatica punta a rivestire all’interno della comunità internazionale. L’unificazione con Taiwan non è l’unico dossier aperto sul tavolo di Xi: in contemporanea la Cina sta portando avanti il proprio piano verso la costruzione di un’influenza benefica a livello mondiale. Se questo ruolo è stato appannaggio degli USA negli ultimi trent’anni, le crepe all’unipolarismo americano hanno permesso ad altre potenze di prendere l’iniziativa. In questo momento la Repubblica Popolare si sta ponendo come mediatrice di tensioni geopolitiche in varie parti del globo, come nella guerra tra Kiev e Mosca o nella riconciliazione diplomatica tra Iran e Arabia Saudita.
La questione di Taiwan è sicuramente in cima alla lista degli obiettivi ma è legata alla posizione cinese nello scacchiere geopolitico e di alleanze globali.
Non è un caso che la Francia, dopo la visita di Macron a Pechino, abbia dichiarato che Parigi dovrebbe ridurre la propria dipendenza dal dollaro USA. Nelle scorse settimane proprio la Francia ha effettuato la sua prima transazione sul mercato del gas utilizzando lo Yuan cinese (al posto del dollaro USA).
In questo momento la Cina non può permettersi grandi manovre offensive contro Taiwan per non compromettere la propria posizione in scenari secondari ma comunque vitali per il Paese. L’attendismo sulla guerra in Ucraina è preludio di una strategia di soft power che in realtà si sta perfezionando da anni. La sfida con gli Stati Uniti passerà da un tentativo di distensione nei rapporti Cina-UE e da un’ulteriore diffusione dell’influenza cinese in territori strategici, tutto in funzione anti-americana.