Proteste in Bangladesh: 50 anni di insicurezza politico-sociale

Violenti scontri, centinaia di morti, crisi istituzionli e una rocambolesca fuga in India del Primo Ministro: cosa sta succedendo dietro le quinte in Bangladesh?

 

 

Negli ultimi giorni il Bangladesh è stato scosso da intensi disordini che hanno portato alla caduta del  Primo Ministro Sheikh Hasina, fuggito in elicottero in territorio indiano.
Il dissenso si è manifestato inizialmente come protesta degli studenti contro il sistema delle quote per i posti di lavoro governativi riservati ai veterani della guerra di liberazione contro il Pakistan, ma si è trasformato rapidamente in rivolte di massa contro il Governo di Hasina, accusato di corruzione, repressione e violazioni dei diritti umani nei confronti degli oppositori politici e degli intellettuali ostili.

Di fronte all’intensificarsi delle proteste e alla crescente violenza, il governo ha risposto con la repressione, schierando l’esercito e imponendo blackout di internet per cercare di soffocare il dissenso; tuttavia queste misure non hanno fatto altro che alimentare ulteriormente la rabbia popolare, portando a scontri mortali tra manifestanti e forze di sicurezza con centinaia di morti e migliaia di arresti.

Dopo la fuga in India del Primo Ministro Sheikh Hasina ed il passaggio di consegne al capo dell’esercito, il generale Waker-uz-Zaman, che ha promesso di organizzare il prima possibile nuove elezioni il prima possibile, la situazione rimane volatile; il rischio di ulteriori violenze e ritorsioni contro i sostenitori di Hasina e la minoranza religiosa induista (da oltre 50 anni soggetta a episodi di violenza e discriminazione) è alto.

Il Bangladesh ricopre un ruolo strategico nell’industria della manifattura: moltissime aziende tessili e di moda asiatiche, americane ed europee realizzano completamente in quel Paese le loro produzioni, grazie ai costi ridotti dovuti al basso costo del lavoro e alla mancata implementazione degli standard sindacali tipici del mondo occidentale; la prosecuzione dei disordini potrebbe comportare forti ripercussioni a livello globale.

 

 

Ma i problemi del Bangladesh non iniziano con questi scontri. Il Paese ha un passato travagliato, ed ha ottenuto l’indipendenza dal Pakistan solo nel 1971 dopo una guerra sanguinosa. Il forte sentimento nazionalistico e il conseguente desiderio di democrazia nato dopo la guerra si è però scontrato con una costante instabilità politica, con diversi colpi di stato militari e con le lotte interne delle diverse fazioni politiche.

Dal 1991 poi il Bangladesh è diventata una democrazia parlamentare, ma anche in questa fase il Paese ha sperimentato momenti di autoritarismo e problemi di corruzione sistematica; i governi che si sono succeduti infatti, guidati principalmente dai due principali partiti (la Lega Awami e il Partito Nazionale del Bangladesh), sono stati spesso accusati di violazione dei diritti civili e manipolazione del processo elettorale.

Lungo tutto l’arco del XX secolo, gli intellettuali bengalesi e la stampa nazionale sono stati spesso piegati, soggiogati o in qualche modo allontanati dal Paese da diversi attori (inglesi nel periodo coloniale, pakistani nel periodo dell’unità, e nazionali oggi) legati da una precisa unità d’intenti: silenziare il dissenso nel Paese per evitare un sovvertimento dell’ordine costituito in cui pochi riescono a fare fortuna a discapito di molti.

La fluidità del mondo digitale ha aiutato molte persone in Bangladesh ad evadere concettualmente da quest’ordine e a percepire il marcio del proprio sistema; gli ha permesso dunque di riconoscere e di denunciare al resto del mondo situazioni ben oltre i limiti del disagio umanitario e lavorativo.
Questa consapevolezza ha risvegliato prima nei giovani e poi nel resto della popolazione sentimenti di resistenza politica, di lotta all’autoritarismo e di rivalsa sociale.

Per condividere questo articolo: