All’edizione 2023 del Giro D’Italia sono mancati i grandi nomi del ciclismo e lo spettacolo in strada; colpa delle squadre ma anche del tracciato.
Sembrava un giro disegnato per annoiare. Con poche tappe di vera montagna e pochi tratti tecnici, il Giro D’Italia 2023 fin dalla presentazione non ha dato l’idea di essere un Giro duro come suo solito; e forse questa è una delle motivazioni alla base della scelta di quasi tutti i principali protagonisti delle corse a tappe di rivolgere la loro attenzione al prossimo Tour De France.
Oltre al vincitore Primoz Roglic, che comunque non ha assolutamente impressionato, i nomi di spicco comprendevano alla partenza solo Evenepoel, Thomas, Geoghegan Hart, Cavendish e Almeida. Tolti lo sloveno e il belga, gli altri sono comunque nomi di secondo piano o specialisti che infatti non sono emersi nel novero delle tappe.
Sono mancati gli attacchi e gli strappi; è mancata la voglia di imporsi come il più forte. Per due settimane è sembrato che nessuno volesse la Maglia Rosa, con Evenepoel che si è ritirato dopo la prima settimana da primatista per via del Covid (risultando poi negativo appena un paio di giorni dopo), e un balletto che ha visto anche un comprimario come Armirail vestire per due giorni la Rosa in seguito alla mancanza di combattività dei big.
Geraint Thomas, che ha indossato quasi interrottamente la maglia di capoclassifica per due settimane, se l’è vista sfilare all’ultima vera tappa, la cronoscalata di Monte Lussari, dove abbiamo visto l’unico vero attacco di tutto il giro; nelle tappe in linea infatti i tre al vertice della classifica (Thomas, Roglic e Almeida) sono sempre arrivati insieme, ed il distacco finale di pochi secondi l’uno dall’altro è figlio non di furibondi assalti ma di una noiosissima tattica attendista che ha narcotizzato il giro.
Cosa rimane di questo giro? Sicuramente qualcosa di buono c’è. Oltre i soliti magnifici panorami che solo l’Italia è in grado di regalare per bellezza e varietà, per il ciclismo italiano è arrivata qualche nota positiva. Jonathan Milan, vincitore della seconda tappa e autore di altri quattro quarti posti sembra essere l’astro nascente del nostro ciclismo. Il vincitore della maglia ciclamino è oggettivamente impressionante negli scatti in progressione, e come velocista diventerà sicuramente un punto di riferimento in campo internazionale. I fratelli Bais e Filippo Zana, giovani interessanti, si sono fatti valere nelle tappe di montagna; e menzioni vanno anche per Dainese e Filippo Ganna, cronoman già affermato ma bloccato anche lui dal Covid.
Manca però un italiano in grado di imporre la sua forza nel complesso di una gara a tappe, e se anche qualcuno dei menzionati dovesse esplodere e raccogliere l’eredità dei migliori del passato (Milan sembra essere il miglior candidato) dovranno passare diversi anni. Lo stesso Damiano Caruso, quarto in classifica a poco meno di soli cinque minuti da Primoz Roglic, non si è praticamente mai visto in un’azione d’attacco.
Molto interessante è stata la formula della cronoscalata finale (considerando la tappa di Roma come una semplice passerella), che ha introdotto il cambio bici e una sorta di incertezza che ha nei fatti catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori.
Meno buona la gestione della strana epidemia di Covid che ha tolto di mezzo diversi ciclisti fra cui un Remco Evenepoel che al momento sembrava essere l’unico interessato alla Maglia Rosa, e ancora meno la gestione della tappa accorciata per via del maltempo. Sembra che l’organizzazione sia stata presa in contropiede in entrambe le situazioni.
Infine, un velo pietoso sulla copertura Rai che, nonostante gli interventi dei più giovani, ha visto una piattezza narrativa da parte di Francesco Pancani e Alessandro Petacchi (che dovrebbe imparare ad usare il congiuntivo) capace di rendere completamente sterile l’ascolto. Sarà forse il frutto della vecchia, compassata scuola di giornalisti Rai, ma se non si pone un minimo di enfasi sui traguardi volanti e sui gran premi della montagna si fa un torto a ciclisti e spettatori. Ottimi Giada Borgato, Stefano Rizzato e Fabio Genovesi; imbarazzante Alessandro Fabbretti, in caccia di polemiche pretestuose pur di ravvivare un Processo Alla Tappa davvero poco interessante.
Speriamo di vedere un Giro 2024 maggiormente spumeggiante; nel frattempo sono in arrivo il Tour e la Vuelta, dove speriamo di poterci rifare gli occhi.