A dodici anni dalla sua esclusione dalla Lega Araba, Damasco torna a far parte dell’organizzazione internazionale con sede al Cairo.
Poco più di una settimana fa la Siria è tornata ad essere un membro della Lega Araba grazie ad un voto favorevole degli Stati membri dell’organizzazione internazionale. Damasco era stata estromessa nel 2011 a seguito della sanguinosa repressione delle proteste popolari scaturite dalla Primavera Araba da parte del regime di Bashar Al Assad; da quella data è in corso nel Paese una violenta guerra civile che ha condizionato non solo la regione ma anche tutto l’Occidente. Tredici milioni di sfollati, mezzo milione di morti e la distruzione di gran parte del patrimonio archeologico e infrastrutturale del Paese: sono questi i numeri impressionanti della Siria di questi ultimi dodici anni.
La Lega Araba è un’organizzazione internazionale nata nel 1945 che riunisce ventidue Paesi di origine araba; la missione iniziale dell’organizzazione era la liberazione dei Paesi arabi dalle dominazioni coloniali ed ostacolare la creazione dello Stato d’Israele in Palestina. Ad oggi la Lega Araba rappresenta un importante organo rappresentativo per i Paesi che ne fanno parte e luogo privilegiato in cui questioni politico-economiche, soprattutto legate al petrolio, vengono gestite a livello sovranazionale.
La notizia non ha colto di sorpresa il mondo diplomatico ma ha irritato diversi interlocutori di eterogenea provenienza: ad un estremo troviamo Europa e Stati Uniti, colpevolmente assenti in Siria in questi anni, avversi al regime di Assad; dall’altro ci sono ovviamente i ribelli siriani che controllano ancora diversi territori, soprattutto nelle regioni del Nord.
Il primo risultato di questo ritorno siriano nella Lega Araba è quello politico: dopo un isolamento durato più di un decennio, il Governo del Presidente Assad può tornare con facilità ad interloquire con i rispettivi omologhi in un’area che copre gran parte del Medio Oriente e del Maghreb.
Questa pacificazione diplomatica fa eco a riavvicinamenti simili avvenuti nell’ultimo periodo nel mondo arabo come quello tra Arabia Saudita ed Iran. Proprio Teheran rappresenta per la Siria un importante alleato con cui non ha mai interrotto una cooperazione strategica che ha permesso in questi anni al regime di Assad di sopravvivere e alla Repubblica Islamica dell’Ayatollah di muovere azioni strategiche verso Libano ed Israele.
L’evento segna dunque una vittoria simbolica per Damasco e un segnale per il resto della regione che vede un progressivo deterioramento della decadenza del ruolo leader degli USA in Medio Oriente.
Parliamo di vittoria simbolica in quanto il ritorno nella Lega Araba non si tramuterà in un ciclo di crescita; la profonda crisi economica siriana non può essere alleviata da questa novità e le sanzioni economiche americane ed europee contro Damasco non permetteranno investimenti considerevoli degli Stati arabi.
Più che la Siria, ad uscire vincitore da questo riconoscimento della Lega Araba è il Presidente Assad; in dodici anni sono tante le uccisioni attribuibili al Governo di Damasco che, grazie all’aiuto di Russia, Iran e Cina, ha contrattaccato i ribelli, sterminando nel sangue i venti siriani della Primavera Araba.
La guerra civile siriana ha reso possibile una diffusione su larga scala dello Stato Islamico e di formazioni terroristiche che hanno seminato il terrore nel Paese. A causa di questa diffusa insicurezza, dal 2011 dalla Siria si è aperto un flusso migratorio che ha da prima interessato Turchia, Giordania e Libano per poi insistere sui confini dell’Unione Europea.
L’aver lasciato la Siria al proprio destino nel 2011 ha portato ad un grave danno per l’Occidente. Il regime è sopravvissuto grazie a stati antagonisti come la Russia e l’influenza americana ed Europea è stata quasi neutralizzata nella regione. Le politiche occidentali in Medio Oriente, orientate all’usa e getta, al ritiro incondizionato e al disinteresse, hanno favorito ambienti come quello siriano in cui i sentimenti anti-democratici sono forti. Il blocco orientale è sempre più forte e parte da Mosca, passa da Damasco e Teheran e prova a raggiungere Pechino; questa vittoria è simbolica ma rende palese un’endemica fragilità occidentale.