Battletech: la recensione

La versione originale del boardgame della Fasa mostra il segno degli anni; nonostante il fascino dell’ambientazione, le partite sono troppo statiche per appassionare pienamente.

 

 

Battletech è stato il primo gioco da tavolo al quale mi sia veramente innamorato. Quando sul finire degli anni ’80 il gruppo di amici di cui facevo parte si stava consolidando, trovammo nel gioco della Fasa un punto di riferimento col quale passare i nostri sabati pomeriggo, riuscendo ad estromettere un Dungeon & Dragons che aveva fino allora monopolizzato il nostro tempo libero.

Battletech nascondeva un’animo da wargame puro dietro un’ambientazione fantascientifica in grado di catturare i giocatori che in quegli anni cercavano qualcosa di diverso dai soliti giochi di ruolo con draghi e maghi o wargame sulla seconda guerra mondiale. La presenza sul campo di battaglia dei battlemech (robot alti 12 metri: è da qui che nasce il termine “mech” oggi comunemente usato), ottimamente rappresentati da figurine bidimensionali in grado di conferire una visualizzazione ed un senso di tangibilità allo strumento di morte e distruzione, era la calamita per chi volesse provare qualcosa di diverso.

Le regole, numerose ma non necessariamente complesse, permettevano di simulare nel dettaglio il tipo di arma usata, il calore interno da dissipare, il tipo di impatto causato, l’eventuale dispersione dei missili, la progressiva distruzione della corazza interna ed i danni causati ai sistemi di movimento, navigazione e armamento dei mech, oltre tutta una serie di altri parametri (anche legati ai piloti) che consentivano ai giocatori di immergersi totalmente nel campo di battaglia.

 

 

Purtroppo però, quello che all’epoca era un sistema profondo ed innovativo, oggi si rivela essere invecchiato piuttosto male. Se da un lato il movimento alternato consente un coinvolgimento continuato di tutti i giocatori, dall’altro la notevole lentezza derivata dalla risoluzione dei combattimenti rende le partite piuttosto statiche e meno appassionanti di quanto potessero essere quarant’anni fa, specialmente quando a scontrarsi sono i mech più lenti e corazzati: in grado sicuramente di far danni, ma dotati di corazze in grado di assorbire numerosi colpi e quindi di rendere la prima parte della partita una lenta battaglia di attrito.

Anche l’assoluta casualità derivata dall’utilizzo dei dadi è un fattore non positivo. Spesso la forbice dei risultati è fin troppo ampia, contemplando di avere sullo stesso tiro sia fallimenti completi che centri devastanti. In più viene data poca considerazione alle abilità dei piloti; a meno che si inizi una campagna (e vista la poca dinamicità del gioco sarebbe oggi un evento degno dei più grandi stoici), non ci sono valori differenziati ad influire sul tiro di dado; eventuali abilità speciali non sono proprio considerate, essendo all’epoca ancora un pensiero recondito nella mente di qualche ideatore di giochi.
Insomma, a meno di utilizzare delle regole fatte in casa (noi modificammo le regole per i tiri di dado inserendo le percentuali, più consistenti ed affidabili) si rischia di passare buona parte del tempo a lamentarsi del fato piuttosto che a studiare mosse e contromosse.

 

 

Il gioco oggi non è più reperibile nella sua forma originale, rimanendo però disponibile nella sua versione digitale e gratuita non ufficiale: parliamo di Megamek, fedele trasposizione del Battletech dell’epoca e che aggiunge tutte le espansioni sui mech aggiuntivi della Sfera Interna e dei Clan proposti negli anni successivi alla pubblicazione della scatola base. Ovviamente esiste la possibilità di giocare in multiplayer, eliminando il problema di trovare qualche volenteroso che abbia a disposizione un intero pomeriggio.
Il marchio invece ha visto un progressivo abbandono di mappe e cartonati in favore di figurine in plastica di discrete dimensioni e un cambio di direzione verso il wargame tridimensionale, oggettivamente più coinvolgente visivamente anche se lo snellimento delle regole non ha realmente portato dei benefici; ma soprattutto verso videogiochi d’azione e strategici di buona riuscita che utilizzano il nome ufficiale o quello di Mechwarrior, inizialmente il GDR di Battletech.

Giocare oggi al Battletech originale è un previlegio per pochi; ed anche se le partite non regalano l’esperienza più adrenalinica del mondo, tutto sommato il divertimento è presente. Potersi poi calare in un mondo ottimamente caratterizzato e dalle mille sfaccettature (tanto da dar vita ad una infinita sequela di videogiochi ufficiali e di spin-off cartacei, come il bellissimo ma sottovalutato Battleforce o Succession Wars, ma anche racconti, libri-simil storici ed una vera e propria enciclopedia sul mondo immaginato in Battletech), dove il livello di dettaglio è elevato e ben studiato, può allietare quei giocatori in cerca di qualcosa di sostanzioso da masticare.

 

Battletech, 1985
Voto: 7
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