Cessione Shell: ennesima speculazione sul suolo africano?

La Shell venderà i suoi stabilimenti onshore nigeriani ad una cordata di aziende locali ed internazionale: cosa resterà in Nigeria della gestione Shell?

 

 

La Shell ha recentemente diramato un comunicato stampa, informando i media ed i suoi azionisti che la sua controllata The Shell Petroleum Development Company of Nigeria Limited è sul punto di essere venduta per 2,4 miliardi di dollari ad un consorzio di aziende petrolifere nigeriane e alla Petrolin, una società di estrazione con sede in Svizzera; l’intenzioni della Shell sono infatti quelle di concentrarsi unicamente su nuovi giacimenti offshore, probabilmente più redditizi rispetto a quelli storici presenti sul suolo dello Stato nigeriano.

La vendita, che dovrà essere approvata dal Governo nigeriano, al momento sembra essersi bloccata a causa dell’intervento di un gruppo di 40 organizzazioni ambientali e per i diritti umani (come l’italiana ReCommon o Amnesty International); queste organizzazioni infatti stanno insistendo affinché la Shell, prima di vendere tutto, compia obbligatoriamente delle operazioni di bonifica ambientale nei territori compromessi da anni di attività estrattiva.

Il delta del Niger, a causa degli sversamenti continui di petrolio che si sono susseguiti negli anni, risulta essere ad oggi uno dei cinque ecosistemi più inquinati al mondo, e questo probabilmente deriva dal fatto che nel corso del tempo la Nigeria e i suoi governi hanno puntato tutto sull’industria petrolifera per rilanciare economicamente il Paese; ad oggi infatti il petrolio occupa il 95% delle esportazioni nigeriane, e contribuisce per il 65% al bilancio del Paese.

 

 

Il business del petrolio ha condotto la Nigeria verso la svendita dei propri territori nell’area del delta del fiume senza però ridistribuire i proventi di questi affari alle popolazioni locali, ma al contrario alimentando unicamente le possibilità speculative di alcuni gruppi criminali e politici; nonostante i 606 pozzi petroliferi presenti nell’area, infatti, le popolazioni che vivono sul delta del Niger sono fra i gruppi più poveri dell’intero Paese.

L’attività estrattiva non ha ovviamente danneggiato solo l’ambiente, ma ha inficiato molto anche sulla sfera sociale e demografica dell’area; l’aspettativa di vita media delle popolazioni che vivono a ridosso del delta del Niger è di 10 anni inferiore rispetto alla media del Paese, e le loro principali attività economiche legate all’ambiente (su tutte la pesca) sono state annichilite dalle necessità petrolifere.

Lo sfruttamento ambientale ai limiti della distruzione può essere considerato come un aspetto intrinseco dell’attività capitalistica umana, e quindi come una parte integrante del nostro sistema socio-economico, ma in quest’occasione oltre alla dinamica di stampo capitalista appare incontrovertibile anche la presenza di un’altra articolazione tipica della nostra società occidentale: il colonialismo.

 

 

L’evoluzione della parabola di Shell in Nigeria sembra seguire un insieme di processi che circa trecento anni fa guidarono il fenomeno storico del colonialismo prima e dell’imperialismo poi; ovviamente ad oggi queste dinamiche si verificano in maniera differente, ma alla base sembra esserci sempre quel meccanismo per cui noi società occidentali ci arroghiamo il diritto di sfruttare suolo e società africane con lo scopo di raggiungere il massimo profitto in virtù della nostra evoluzione tecnologica.

Oggi come allora questi meccanismi vengono accompagnati dalla retorica (ormai marcia) dell’aiuto che i nostri investimenti portano alla società africana, come se lo sviluppo di questa fosse legato in maniera indissolubile alla nostra presenza; tuttavia la storia passata e le cronaca quotidiana sembrano dimostrare il contrario, e cioè che le società occidentali percepiscono il continente africano ancora come un luogo denso di opportunità speculative i cui abitanti non sanno cogliere.

 

 

La vendita della Shell probabilmente andrà a buon fine, e questo avverà perché nel corso del tempo noi (inteso come insieme di società occidentali) abbiamo anteposto la nostra struttura economica alla nostra natura umana, mostrando cioè interesse solo per le plusvalenze economiche e dimenticandoci della nostra appartenenza comune allo stesso sistema-pianeta.

L’Africa, intesa come opportunità economica, sembra essere sempre ad un palmo di distanza dalla nostra società; eppure quando si parla di diritti, di autoaffermazione e di sostenibilità sembra allontanarsi sempre di più dalle società occidentali, tese sempre di più all’individualismo e maestre di oblio.

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