Tante trame da raccontare possono creare caos e fanno sicuramente perdere di efficacia quest’opera. Perché strafare così?
La prima stagione di The Great Pretender è stato un grande successo, mi è piaciuta tantissimo per colori ed idee tanto che mi sono ritrovato a paragonarlo con il mitico Lupin III. In questa seconda stagione ritroviamo tutti i personaggi che abbiamo avuto il piacere di conoscere in precedenza e ricominciamo proprio da dove ci eravamo lasciati. Tutto sembra promettere per il meglio e mi aspetto tanto da quest’arco narrativo che è il più lungo; purtroppo l’uccello Padulo, che vola basso e s’insinua lì dove non batte il sole, è sempre in agguato per farti piangere lacrime amare e rovinarti il momento!
Makoto “Edamame” Edamura, il nostro protagonista, decide di dare un taglio alla sua vita da truffatore, così torna in Giappone per trovare un lavoro onesto in una società d’affari. Durante una trasferta di lavoro in Vietnam, Edamura scopre che la sua compagnia è una mera facciata per la mafia; il vero obiettivo della società è quello d’importare bambini appena sbocciati per rivenderne la verginità al migliore offerente. Il nostro protagonista, e non solo lui, è disgustato da questa scoperta e contatta Laurent per avere la conferma di quanto profondamente marcia sia l’azienda per cui lavora. Laurent coglie la palla al balzo e propone ad Edamura un ultimo colpo che prevede di derubare la mafia di ingenti fondi e di liberare tutti i poveri bambini che stanno per essere venduti. La macchinazione sembra di buon livello, ma il ragazzo giapponese è preoccupato e sembra molto nervoso. Il piano non va proprio nel verso in cui era stato pianificato da Edamura e le cose prendono una bruttissima piega. Avrei dovuto capire che c’era qualcosa che non andava quando ho visto l’uccello Padulo scendere ad ampi giri verso il mio quartiere, ma ho pensato: “E che cavolo! Proprio a me deve venire a rompere le scatole? C’è tanta gente nel quartiere, speriamo che stavolta colpisca uno dei vicini!”
La storia sembra filare liscia fino a che non entra in scena Ozaki, il padre di Edamura. Il racconto degli eventi presenti si ferma e comincia a fluire la storia passata di Laurent che coinvolge appunto Ozaki, conosciuto anche come “il Mago di Oz” per le brillanti capacita da truffatore. Ora mi ritrovo spiazzato: sin dall’inizio il padre di Edamura è stato descritto a più riprese come un avvocato in carriera; adesso lo ritroviamo nelle vesti di un truffatore incallito? Per giunta tutto il suo trascorso che porta fino al suo arresto, raccontato nei primi episodi della serie, è legato interamente a Laurent e ci costringe a rileggere tutta la prima stagione in chiave differente. Il legame tra Laurent e Edamura non è nato per una divertente casualità, ma per tutt’altra natura, molto più personale ed intima di quello che era stato fatto intendere. Sinceramente, dopo queste rivelazioni, mi sono stupito di come Laurent abbia rischiato la vita di Edamura senza troppo pensarci, soprattutto visto che aveva lavorato con il padre. Quando intuisco che le cose non si stanno mettendo bene per la trama di The Great Pretender, sento uno strano rumore provenire dal balcone; mi sono detto che sarà il solito merlo venuto a beccare le piante, ma un brivido freddo lungo la schiena mi doveva avvisare del pericolo.
Laurent è indubbiamente il protagonista delle trame legate al passato, la sua storia è molto triste e piena di amarezza tanto da strapparci anche una mezza lacrimuccia. Da quella storia abbastanza lineare si ritorna ad un presente molto traballante che è fatto principalmente da “se” e “ma”. Laurent sviluppa un piano basato sulla speranza di una determinata reazione da parte di Edamura, cosa sconcertante per uno che tende a pianificare tutto il possibile e anche l’impossibile. Il ragazzo giapponese, ormai invischiato nelle trame della mafia, sembra un’altra persona e basare un piano su di lui mi lascia ancora più basito. Questa aura di malferma programmazione si riverbera anche nelle ripicche che Edamura e Laurent si scambiano mettendosi i bastoni tra le ruote con sotterfugi e tranelli; è vero che questo modo di fare tra i due è una cosa nota, ma nelle loro ultime schermaglie si assapora una gusto di cattiveria che prima non c’era. Il finale mi ha dato l’impressione di essere amichevolmente fasullo ed in contrasto con quello che si è visto fino a quel momento. Questa falsa gentilezza è la stessa di quando decidi di fare un gesto nobile verso l’uccellino che banchetta in balcone donandogli delle briciole di pane, ma realmente ti vuoi solo liberare la dispensa dalla rosetta immangiabile del giorno prima. Allora esci in terrazza, pronto per nutrire il fortunato pennuto, ed invece ti ritrovi il fondoschiena compromesso da un Padulo in volo radente! Anche detto: sono rimasto fregato dalle aspettative che avevo su questa seconda stagione di The Great Pretender. MALEDETTO UCCELLO PADULO!
Se la storia non ha dato un buon contributo a questa seconda stagione, l’animazione grafica e l’uso dei colori sono rimasti di alto livello; quella caratteristica quasi da quadro impressionista, con i colori vivi ed accesi è, e rimane, uno spettacolo per gli occhi. Le stesse musiche scelte sono orecchiabili e di ottima qualità. The Great Pretender rimane comunque un lavoro complessivamente buono, anche se l’ultima parte perde di coerenza e tenta di incastrare forzatamente i pezzi del puzzle. Questa seconda stagione non regge il confronto con le storie della prima e rasenta la sufficienza principalmente per demerito della trama.