Ghost In The Shell – la recensione

Che ti chiami Alex Murphy o Mira Killian non importa, ti hanno fregato e ti fregheranno sempre!

 

 

Ci sono volte in cui sei morto, vieni messo in un corpo meccanico all’avanguardia, ti viene cancellata la memoria, e vieni assegnato al progetto sperimentale della polizia. Poi vieni a scoprire che la società che ti ha reso un androide all’avanguardia, mente e ti ha sempre mentito, scopri che hai dei ricordi e provi in tutti i modi a riconquistare la tua vera natura.
Sembra quasi la parodia futuristica della nostra società, in qualche modo ci provano sempre a manipolarti, che tu stia nella “Vecchia Detroit” o sul suolo Nipponico, sempre al loro servizio devi stare.
Maledette OCP e Hanka Robotics, perché non lasciate stare i poveracci e non ve la prendete con i vostri dirigenti?

A parte il paragone delirante, i due film sono quasi del tutto identici; la trama è la medesima anche se gli effetti speciali hanno precisamente 30 di evoluzione tra il vecchio Robocop del 1987 e il nuovo Ghost In The Shell del 2017.
Non vorrei essere critico, ma quando fa un remake, di solito ci mettono un’attrice “Bonazza” per attrarre l’attenzione e sviare i dettagli, e questa volta è toccato a Scarlett Johansson fare la parte di chi deve distrarre le masse.
La critica che porto comunque non preclude una visione del film interessante e ricca di effetti speciali, una buona prestazione della Johansson che mimacchia il movimento robotico del buon vecchio Peter Weller, fa apprezzare la pellicola vista fine a se stessa.

 

 

Altro paio di maniche è il confronto con l’originale anime giapponese, ci sono diverse cose da evidenziare, a partire dalla scelta di utilizzare un’occidentale Scarlett Johansson al posto del principale personaggio che nella versione anime era orientale.
E’ anche vero che la Johansson non sfigura, anzi il ruolo sembra che le calzi a pennello, ma ci sono tante belle attrici americane con tratti orientali che potevano ambire a quel ruolo.
Proseguendo nell’analisi, ci imbattiamo nella quasi totale mancanza di introspezione del personaggio, che si limita ad una scena di pochi secondi in cui viene posta la domanda che tende a far capire il momento di smarrimento e di analisi che il protagonista ha avuto:”Sei scomparsa da 6 ore, dove sei stata?“. Effettivamente un pelo scarsa come introspezione visto che nell’anime ne viene dato un buon risalto.
Infine, la musica che ha reso famoso Ghost in the Shell viene utilizzata pochissimo e, per intero, solo nei titoli di coda, un qualcosina di meglio si poteva fare per una musica tanto potente.
I combattimenti sono avvincenti e fluidi, nulla di macchinoso ne’ di complicato, scene di inseguimento fatte bene, dove non rischi di vomitare la cena per l’effetto videocamera in spalla che si usa tanto di questi tempi.
Come dicevo prima gli effetti speciali sono 30 anni nel futuro rispetto a Robocop, e la fanno davvero da padroni, pubblicità animate proiettate in 3D grosse come palazzine, scenari cupi ma inesorabilmente avvincenti, la rappresentazione dei potenziamenti eseguita in maniera perfetta, qui si tocca con mano il futuro.

 

 

Che dire di più, il film è godibile se tenuto ben lontano dai paragoni di quelle che sono le opere precedenti che hanno o non hanno lo stesso nome, la “bonazza” la fa da padrona, la trama è ovviamente trita e ritrita ma gli effetti speciali meritano.

 

Ghost in the Shell, 2017
Voto: 5,5
Per condividere questo articolo: