Cina asso pigliatutto: accordo con i Talebani sul petrolio

La Cina continua la sua strategia di radicamento nel continente asiatico in cerca di vantaggi strategici.

 

 

Il 5 gennaio 2023 la Repubblica Popolare Cinese e il Governo talebano dell’Afghanistan hanno siglato un accordo energetico da 540 milioni di dollari; dietro il pagamento di tale somma i talebani concederanno alla Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Company (CAPEIC) lo sfruttamento di un giacimento petrolifero nel nord del Paese. La zona era stata già oggetto di accordi tra le aziende statali cinesi e l’allora Governo afghano nel 2011; allora si stimò che il bacino avesse la capacità di 87 milioni di barili, dato che giustificherebbe la durata di quest’ultima concessione siglata su base venticinquennale.

I talebani governano in Afghanistan dall’agosto 2021, in concomitanza con il ritiro statunitense dal Paese; da quel momento, venuti meno gli aiuti internazionali, l’economia di Kabul è crollata drasticamente. Proprio per questo motivo il regime talebano ha festeggiato con un evento televisivo il partenariato con Pechino che, oltre ad essere incredibilmente generoso, rappresenta il primo accordo internazionale dalla presa del potere un anno e mezzo fa. L’aumento dell’occupazione è uno degli obiettivi primari dei talebani e una delle poche scelte percorribili è quella di investire sulle proprie risorse minerarie, principale fonte di ricchezza della regione. Aver concluso questo accordo con la Cina rappresenta un punto di partenza ottimale che apre a prospettive regionali e di sviluppo.

Ma Pechino aveva bisogno di questo accordo con i talebani? Ad Oriente c’è preoccupazione riguardo la sicurezza energetica del Paese più popolato del mondo: i consumi cinesi sono i più alti del globo e le risorse interne non soddisfano la richiesta. La Repubblica Popolare è un importatore netto di petrolio e gas e, in controtendenza rispetto alle altre potenze mondiali, ha inanellato una serie di alleanze con partner strategici antagonisti all’Occidente: Russia, Iran, Ecuador, Venezuela e adesso Afghanistan.

Questo nuovo accordo risponde poi ad un’esigenza di sicurezza dei trasporti: ad eccezione della confinante Russia, tutti gli Stati partner di Pechino si trovano a distanze considerevoli che necessitano di trasporti marittimi per raggiungere porti e raffinerie cinesi. La sempre maggior militarizzazione dell’Indo-Pacifico, giustificata dalle crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti, ha imposto al Governo di Xi Jinping di guardare nel proprio vicinato. Possiamo dire che i bisogni dei due Paesi si siano incontrati al momento giusto e che lo stato di necessità abbia giocato un ruolo decisivo nella conclusione positiva delle trattative.

 

 

Nonostante i talebani siano imprevedibili e un capovolgimento degli equilibri nell’accordo sia stato messo in conto, le prospettive di lungo periodo fanno propendere per una coesistenza pacifica tra Pechino e Kabul; sicurezza energetica ed espansione economica sono i due cardini del rapporto che sembrano ad oggi irrinunciabili per entrambi. Da un lato si spera che la presenza di un’economia più forte e aperta agli investimenti internazionali permetta all’intera regione di trovare una stabilità mai acquisita pienamente negli ultimi vent’anni, ma le mosse cinesi dovrebbero essere temute dai suoi principali rivali.

Da un punto di vista Occidentale questo accordo non può far rimanere indifferente i Paesi del Patto Atlantico; mentre i rapporti USA-Cina si dirigono sempre di più verso uno scontro, gli unici che sembrano prepararsi a tale evenienza sono proprio i cinesi. L’Afghanistan ha una riserva di minerali e terre rare stimata in un trilione di dollari, giacimenti mai sfruttati durante gli anni di guerra. Se ci troveremo davvero davanti ad uno scontro tra Pechino e l’Occidente, i primi si stanno assicurando una riserva di risorse che sarà presto impareggiabile. Il perimetro securitario cinese è sempre più massiccio ed orientato ad una via di sostentamento esclusiva che non teme la concorrenza occidentale; senza vincoli sull’economia verde e sugli investimenti con Stati canaglia, Pechino si vuole proiettare sul trono delle super potenze, e restare troppo a guardare potrebbe risultare fatale.

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