L’Assemblea Generale dell’ONU che si è riunita il 2 marzo si è espressa sulla situazione in Ucraina tramite votazione.
146 Paesi hanno condannato le azioni della Russia, 35 si sono astenuti e 5 si sono espressi a favore delle azioni di Putin.
Gli esiti della votazione rispecchiano perfettamente la situazione geopolitica attuale, e mostrano un sistema di alleanze e di allineamenti politici che tengono conto di variabili tutt’altro che appartenenti alla delicata situazione ucraina.
I 5 Paesi che hanno votato a favore della Russia sono: la Bielorussia, la Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord), l’Eritrea, la Repubblica Araba di Siria e la stessa Russia. Il voto a favore della Russia espresso dai quattro Stati elencati è figlio di una politica del Cremlino finalizzata all’ampliamento della sua sfera di ingerenza e di controllo politico-economico.
È il caso dell’Eritrea, hub strategico militarmente e commercialmente data la sua sua posizione nel Corno d’Africa, che la Russia finanzia da anni proprio per imporre la sua presenza nella neo spartizione commerciale dell’Africa.
È il caso anche della Siria, Paese ormai da anni in guerra che vede nella Russia l’unico alleato in grado di assicurarle non solo aiuti militari e protezione, ma anche il ritorno ad una politica socialista di stampo arabo.
La Corea del Nord e la Bielorussia meritano invece una menzione a parte dal momento che per motivi storici, geografici e politici le loro economie non possono prescindere in alcun modo dalla Russia.
Ovviamente il leitmotiv che unisce tutti questi Stati, e che ne rafforza i legami con cronicità, è il sentimento anti-occidentalizzazione o, più precisamente, anti-americanizzazione, e quindi il rifiuto di una società standardizzata sul modello economico-politico statunitense.
I 35 Paesi astenuti sono poi lo specchio opaco della medesima situazione.
Alcuni di loro, come le ex Repubbliche Sovietiche dell’Asia centrale o i 16 Stati africani, rappresentano le vecchie e le nuove aree di influenza politica ed economica russa, mentre altri, come la Bolivia, Cuba, l’Iraq, l’Iran, il Pakistan e il Vietnam, sono storicamente diffidenti verso gli USA e la NATO.
Il voto sul quale tutta la platea internazionale teneva gli occhi era tuttavia quello della Cina, unico vero fattore politico in grado di invertire la misera parabola intrapresa dalla storia negli ultimi giorni.
La Cina ha saputo tener fede però alla sua natura attendista e calcolatrice nel campo degli affari esteri, e la sua astensione è stata perfettamente in linea con le dichiarazioni dalle poco velate tinte neutrali degli scorsi giorni, nelle quali condannava unicamente il coinvolgimento dei civili.
Per la Cina frenare la volontà russa in Ucraina avrebbe significato violare il principio politico cinese secondo il quale non ci si intromette mai nella politica interna dei propri alleati o partner commerciali, e sarebbe stato sopratutto fortemente controproducente in ottica Taiwan.
Putin in questo momento sta riconquistando delle porzioni di territorio ritenute storicamente e culturalmente appartenenti al popolo russo e alla Russia, e la Cina non può permettersi di ostacolare una situazione che la vede indirettamente coinvolta in una sorta di danza fra parallelismi identitari.
I rapporti fra Cina e Russia sono in continuo miglioramento dalla caduta della “Cortina di Bambù” nel 1989, e le affinità presenti nei progetti politici dei due leader hanno avvicinato ulteriormente i due Stati, che collaborano ormai su diversi fronti.
I due Paesi lo scorso mese hanno chiuso un accordo che prevede la costruzione di un nuovo gasdotto fra Russia e Cina per aumentare le forniture di gas russo, e passare dai 16,5 miliardi di metri cubi a 38 miliardi di metri cubi entro il 2025.
Il gasdotto della Gazprom “Soyuz Vostok” attraverserà la Mongolia, e rifornirà di gas la Cina attraverso il colosso energetico locale CNPC, che si occuperà di stoccaggio e distribuzione.
L’accordo è la fisiologica contromossa di un’economia estrattiva fortemente statalizzata come quella russa alla chiusura del progetto “Nord Stream 2”, che le avrebbe assicurato un export da circa 55 miliardi di metri cubi di gas in Europa.
Le sanzioni economiche inflitte da UE e USA stanno spingendo la Russia fra le braccia della Cina, che potrebbe fornire un escamotage finanziario alla Russia per aggirare l’esclusione dal sistema SWIFT.
Con l’avvio del progetto “Belt and Road Initiative” (La Nuova Via della Seta) infatti la Cina ha sviluppato negli ultimi un nuovo meccanismo parallelo allo SWIFT, il CIPS (Cross-Border Interbank Payment System) un sistema utilizzato per regolare i crediti internazionali in Yuan che permetterebbe alla banche russe di effettuare operazioni finanziarie aggirando in parte l’esclusione dallo SWIFT.
Il condizionale è d’obbligo in una situazione in cui, nonostante le affinità di agende politiche e i legami commerciali, né la Russia né la Cina si fidano totalmente l’uno dell’altro.
La Russia non può permettersi di affidarsi completamente alla Cina per rispondere all’offensiva economica occidentale: rischierebbe di diventare il temuto Vassallo di Pechino e questo contrasta totalmente le sue mire egemoniche.
La Cina, dal canto suo, deve continuare la sua ascesa come potenza mondiale, e per farlo ha bisogno di non solo di evitare le sanzioni internazionali, che rischierebbero di essere pesantissime dato l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla sua economia.
Una lunga partita a scacchi attende le diplomazie internazionali, speriamo solo che non finisca senza pedoni.