Dogman: la recensione

Dalla vera storia del Canaro della Magliana, una trasposizione cinematografica più che discreta del crudo evento di cronaca degli anni ’80.

 

 

Chi è vissuto a Roma nei primi anni ’80 non può non ricordare l’efferato omicidio che avvenne in un negozio di toelettatura per cani alla Magliana, quando il titolare fece letteralmente a pezzi un malavitoso della zona.
Dogman prende un forte spunto dalla vicenda, anche se ne cambia ambientazione ed episodi.

Non si può raccontare molto del film senza raccontare i particolari della vicenda, e per questo andrò a sorvolare. Posso solo affermare che, sebbene diversi aspetti siano stati cambiati anche in modo radicale rispetto a quanto realmente accaduto, la trama mantiene una solidità ben delineata ed apprezzabile.

 

 

Girato quasi interamente sulla costa di Castel Volturno, in Campania, all’interno di un comprensorio semidiroccato, Dogman fa comunque uso di attori romani, alcuni dei quali già noti al pubblico: su tutti Francesco Acquaroli (la serie di Romanzo Criminale, Smetto Quando Voglio, Mia Madre) e Adamo Dionisi (Chi Nasce Tondo, Suburra, Brutti e Cattivi). I panni del protagonista sono invece affidati al calabrese Marcello Fonte (Io Sono Tempesta, Aspromonte), che è abilissimo a creare un personaggio meschino, debole, traffichino.

Lo stile della regia di Matteo Garrone (Terra Di Mezzo, Gomorra) è secco, non lascia spazio a frivolezze o mezze misure. Tutto, anche il non detto e il non mostrato, è evidente e lampante. Garrone tratteggia bene una vita degradata come quella che può essere quella della periferia romana dell’epoca, anche sulla scorta dell’esperienza fatta con Gomorra; cambierà la zona ma certe dinamiche sono le stesse.

 

 

Per certi versi il film può definirsi lento, e in effetti tutto il girato ha un tono distaccato, anche nei momenti di maggior violenza: sembra quasi di vedere il film attraverso un filtro che elimina le emozioni. Tutto sembra essere piatto, quando invece ci si rende conto che molto sta succedendo davanti ai nostri occhi; semplicemente, Dogman parla un linguaggio più simile a film come non a caso Gomorra, Suburra o, cambiando completamente genere, Il Tuffo, film dove una buona parte dell’atmosfera si deve a toni paradossalmente sommessi e a luci abbastanza atone.

 

 

Dogman è certamente un buon film d’autore che potrebbe non piacere ad uno spettatore meno avvezzo a questo tipo di cinematografia. Sicuramente non merita tutte le nomination ai vari premi europei di settore; onestamente sembra più aver pesato il nome del regista che la vera qualità del film (dove oggettivamente ci sono alcuni passaggi un po’ forzati).

 

Dogman, 2018
Voto: 7
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