Edelweiss: L’offensiva verso il Caucaso

Nell’estate del 1942 i tedeschi si lanciano alla conquista del Caucaso sovietico con l’obiettivo di impossessarsi del bene più prezioso della guerra: il petrolio.

 

 

Dopo la sorprendente resistenza alle porte di Mosca da parte dell’Armata Rossa ed il successivo contrattacco lungo tutto il fronte che ha significato la riconquista sovietica di alcuni territori persi tra l’estate e l’autunno dell’anno precedente, i tedeschi preparano la nuova offensiva estiva, forti ancora dell’iniziativa tattica e del controllo dei cieli. Questa volta però la Wehrmacht, che solo un anno prima appariva invincibile sui vari campi di battaglia, deve limitare il proprio campo d’azione a un settore specifico, incapace di sferrare attacchi lungo migliaia di chilometri di fronte. Il settore scelto, nonostante l’obiezione di alcuni generali che volevano ritentare un attacco diretto sulla capitale Mosca, è quello meridionale. Dietro a questa decisione c’è una sola e fondamentale ragione: il petrolio.

La Germania, sprovvista naturalmente di questa risorsa, si affida al petrolio sintetico che riesce a produrre e per la maggior parte importa il petrolio dagli stati alleati, Romania in primis, che riescono a fornire circa il 60-70% di tutto ciò che arriva a Berlino. I due anni di guerra, di carrarmati spinti a velocità folle in avanti e d’uso massiccio di aerei, hanno prosciugato quasi del tutto le riserve. Alcuni rapporti rivelano che l’autonomia delle armate tedesche si limita a mesi, addirittura settimane per le divisioni corazzate; inizia a concretizzarsi ufficialmente la necessità di smobilizzare le divisioni che consumano più carburante, quindi quelle motorizzate e quelle corazzate, il nervo centrale del successo militare nazista.

 

 

I tedeschi quindi hanno fretta, capendo che l’esito della guerra passa anche attraverso la capacità della Germania di rifornire le proprie armate del prezioso carburante, prima che il più grande produttore di greggio al mondo di allora, gli USA, possa intervenire decisamente nel conflitto. Il sud quindi. Un attacco verso la regione del Caucaso, zona impervia e per lo più montuosa, che però è patria degli immensi campi petroliferi di Maikop, Grozny e Baku.

Il 5 aprile 1942 Hitler e l’OKW, l’alto comando delle forze tedesche, diramano la direttiva numero 41, dando di fatto inizio ai preparativi per l’imminente attacco. Il Gruppo Armate Sud, diviso in due grandi unità separate A e B, dovrà avanzare rispettivamente in direzione Caucaso (A) e Stalingrado (B) in simultanea, con l’intenzione di isolare la regione e non far affluire rinforzi sovietici. Il Gruppo Armate A al comando del Feldmaresciallo List si compone della 1° Armata Panzer sotto Von Kleist, la 17° Armata e la 3° Armata degli alleati rumeni; almeno sulla carta sembra sufficiente per piegare la resistenza e raggiungere rapidamente il tanto agognato petrolio. Alle regolari truppe vengono affiancati numerosi reparti alpini, che dovranno portare avanti l’offensiva nelle impervie regioni montuose della zona. Ha inizio l’Operazione Edelweiss.

La prima città a cadere nelle mani del Gruppo Armate Sud è Rostov sul Don a fine luglio. Si apre la porta del Caucaso, e il Gruppo A inizia la sua penetrazione verso il sud e la regione del Kuban. L’avanzata, almeno nelle fasi iniziali procede secondo i piani, raggiungendo già al 10 Agosto il primo obiettivo con la cattura di Maikop. Due giorni dopo cade anche la città di Krasnodar, ma più si avanza, più il paesaggio cambia. Gli attacchi devono seguire la geografia del luogo, attraverso i primi passi tra le montagne, e tutto si svolge in maniera più lenta. Il 21 Agosto truppe tedesche innalzano la bandiera sul Monte Elbrus, in un gesto più che altro propagandistico.

 

 

La prima vera battuta d’arresto arriva sul finire di Settembre, quando gli assalti verso le regioni petrolifere e l’ingresso nella parte più importante della regione vengono fermati dai sovietici che, data l’incapacità del Gruppo Armate B di catturare definitivamente Stalingrado e sigillare la regione in un’enorme sacca, permette l’afflusso di numerose truppe e mezzi.

L’operazione infine fallisce quasi per un effetto collaterale: il sogno di impossessarsi delle enormi riserve petrolifere svanisce quando la situazione della 6° Armata di Paulus peggiora gravemente venendo accerchiata all’interno di Stalingrado a seguito dell’Operazione Piccolo Saturno lanciata dai sovietici a novembre. Il Gruppo Armate A rischia quindi di finire nella stessa sacca che esso stesso cercava di creare; si ritrova costretto a ripiegare in fretta e furia, appena le riserve guidate dal Generale Mainstein falliscono nel tentativo di ristabilire la situazione nella zona del Volga e quindi di Stalingrado. Inizia l’operazione inversa, quella di far defluire le divisioni e tutto l’equipaggiamento verso le coste del Mar Nero prima, e verso la Crimea dopo. Il passaggio a nord nella zona di Rostov, dalla quale solo pochi mesi prima erano penetrate, è adesso chiuso dai sovietici.

 

 

È un fallimento totale: i tedeschi non solo non riescono a impossessarsi del petrolio ma subiscono importanti perdite ed abbandonano al nemico il prezioso armamento bellico. È una rotta generale, nonostante la speranza di rinnovare l’attacco l’anno dopo sia ancora viva. Nulla di ciò si verifica però: da questo momento in poi i tedeschi devono affrontare una guerra difensiva contro gli incessanti attacchi sovietici che respingono le armate dell’Asse fino a Berlino, concludendo così le operazioni militari della Seconda Guerra Mondiale nel teatro europeo.

 

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