Everybody’s Gone to the Rapture: la recensione

Un gioco che strega per la sua atmosfera e che presenta una buona linea narrativa, che miscela sentimenti e fantascienza.

 

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Inghilterra, 1984. Ci troviamo in un piccolo villaggio nel mezzo della campagna inglese, in piena estate. Il fantastico, rilassante paesaggio che spazia di fronte ai nostri occhi contrasta con la mancanza di ogni singola persona. In giro non c’e’ piu’ nessuno, sono tutti spariti e le macchine sono abbandonate in mezzo alla strada. E noi… Chi siamo noi?

Everybody’s Gone to the Rapture e’ uno di quei giochi classificabili come walking simulator, cioe’ giochi in prima persona nei quali l’interazione con lo scenario e’ minima; l’esperienza e’ fondamentalmente indirizzata all’esplorazione dei luoghi, alla lettura di brevi testi, all’ascolto di tracce audio: alla scoperta di piccoli o grandi misteri nascosti nelle pieghe della trama. Il capostipite del genere, Dear Esther, ha tracciato un indirizzo che praticamente tutti i giochi seguenti hanno seguito. La mancanza di persone con cui parlare, la scarsita’ di elementi con cui poter interagire (e quei pochi sono tutti o quasi utilizzati per raccontare qualcosa della trama), e l’assoluto impegno a presentare un gioco graficamente magnifico – quasi fotorealistico – per farci immergere nel mondo del gioco sono i piu’ comuni tratti salienti di questo genere, il cui titolo di maggior richiamo e’ probabilmente lo stupendo The Vanishing of Ethan Carter.

 

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Ma veniamo al gioco in questione. Il primo impatto e’ piuttosto rude anche per far parte di un genere di nicchia: la velocita’ di spostamento e’ tediosamente lenta, ed anche lo sprint, attivo solo all’esterno delle zone interattive, necessita di un certo tempo prima di attivarsi. Questo porta ad una certa stizza durante le prime fasi di gioco, quando ancora dobbiamo abituarci a questa discutibile scelta di gameplay. La spiegazione data dagli sviluppatori e’ che ad una velocita’ maggiore si sarebbe persa la possibilita’ di cogliere dettagli, si sarebbero accavallate musiche e dialoghi (quei pochi che ci sono), ma di certo si poteva optare per qualcosa di meglio.

 

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Anche la scelta di salvare il gioco solo in automatico e solo dopo determinati incontri costringe il giocatore a cercare disperatamente questi punti, che non sono cosi’ frequenti e sono in realta’ svolte nella trama, rischiando di farci perdere parte delle storie secondarie che non potremo piu’ recuperare (mi e’ successo un paio di volte) e soprattutto impedisce di interrompere il gioco liberamente, secondo le nostre necessita’ ed urgenze. Anche l’attivazione di questi incontri e’ piuttosto macchinosa fino a che non si capisce come funziona; io ho perso diversi minuti e poi ho dovuto cercare un indizio su internet per andare avanti (a chi dovvesse servire: cliccare col tasto destro e muovere il mouse a sinistra o a destra fino a trovare il punto corretto, non serve puntare direttamente l’oggetto).
Insomma ci troviamo di fronte a scelte realizzative che potevano essere molto migliori e che denotano invece una certa grossolanita’ poco comprensibile.

Tutt’altro discorso per trama ed atmosfera.
La storia che fa da colonna portante del gioco e’ molto intrigante e fa sapiente uso di certi misteri per mantenere molto alta la tensione. Una serie di eventi collaterali vengono raccontati parallelamente, ma di questi spesso non si riesce a cogliere bene la linea logica, un po’ perche’ non ne conosciamo i preamboli, un po’ perche’ possono essere visti in ordine casuale, un po’ perche’ oggettivamente sono poco legati fra di loro.
Il paesaggio della campagna inglese e’ superbamente realizzato, tanto che in alcuni momenti si fatica a capire si tratti di un videogioco e non di una foto (proprio come in The Vanishing of Ethan Carter, con un livello di dettaglio forse addirittura superiore). Alcune texture pero’ sono reliazzate in modo piu’ grezzo (penso alle porte ed alle radioline) e da vicino contrastano con l’eccezionale resa del gioco nel suo complesso. Da notare, ancora, certi asset di gioco sono stati riutilizzati numerose volte, tanto che ad un certo punto esplorerete le case pressoche’ ad occhi chiusi.

 

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Le sensazioni che lascia Everybody’s Gone to the Rapture sono molteplici. Da una parte abbiamo una realizzazione di gioco che poteva essere migliore; dall’altra, nel momento in cui risusciamo a calarci nella storia, non possiamo non rimanere toccati dalla storia principale e dal suo epilogo. Meno effetto fanno le storie secondarie, che pero’ ben si amalgamano fra di loro e permettono di costruire un mondo di gioco credibile e dettagliato. E’ un gioco che mi ha ricordato molto il gia’ citato The Vanishing the Ethan Carter, ma anche per certi aspetti il bellissimo To The Moon ed addirittura Evangelion, tutti per motivi diversi ma che possiamo accomunare sotto l’ambito dell’attenzione ai sentimenti ed alle sensazioni provate durante il racconto.

 

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Il gioco ha un prezzo ingiustificato per essere un walking simulator, addirittura 20 Euro (ed era anche di piu’ appena uscito); un’esagerazione che ne sconsiglia l’acquisto se non a prezzo di saldo (diciamo che 5 Euro e’ il corretto valore). Non ci troviamo nemmeno di fronte ad un gioco lungo, che anzi viene allungato artificialmente dall’impossibilita’ di muoversi rapidamente. Ad ogni modo l’esplorazione di strade, case e prati regalano momenti di appagamento molto intensi e la storia e’ piu’ che buona. E’ un titolo da giocare dotandosi di pazienza e di tempo, le sessioni non devono essere troppo brevi o la magia non scattera’.

 

Everybody’s Gone to the Rapture, 2016
Voto: 7.5
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