Kholat: la recensione

Mistero, orrore, tensione: Kholat miscela bene queste caratteristiche per ottenere un gioco più che valido.

 

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La storia del passo del Diavolo (o passo di Dyatlov) è uno di quei misteri poco noti al pubblico occidentale ma piuttosto famosi in Russia. Nel 1959 un gruppo di alpinisti mosse in direzione del passo con l’idea di scalarlo, ma l’intera spedizione morì in circostanze mai chiarite: molti di loro furono trovati seminudi, ed alcuni con gravissimi traumi interni che contrastavano con l’assenza di segni esterni di impatto. La presenza di radiazioni su alcuni di loro ed uno strano colore della loro pelle non aiutò a chiarire il mistero, con le indagini che furono rapidamente chiuse dalle istituzioni russe.

 

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Kholat (che poi è il nome della montagna dove si trova il passo) è un gioco che si ispira fortemente alla vicenda, attorno alla quale sono sorte nel tempo tutta una serie di teorie legate anche a strani avvenimenti avvenuti nella zona nello stesso periodo.
Ci troviamo di fronte ad un misto tra un’avventura ed un walking simulator, visto che l’interazione con l’ambiente è ridotta ma esiste una fortissima componente di tensione, aspetto normalmente assente nei walking simulator.

Il gioco fa dell’atmosfera il suo punto di forza: ci troveremo costantemente nella tenue luce che filtra attraverso una bufera di neve che ci accompagnerà quasi costantemente e che ci renderà difficile capire dove ci troviamo. La navigazione e l’esplorazione sono poi ulteriormente complicate dalla necessità di intuire la nostra posizione tramite una bussola e una mappa su cui sono segnati i sentieri principali e null’altro; e se piano piano, scoprendoli, alcuni riferimenti appariranno in mappa, l’unico modo per capire la nostra posizione sarà quella di guardarsi attorno e regolarsi in base a ciò che vediamo intorno a noi.

 

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Questo aspetto della navigazione priva di aiuti esterni è azzeccatissima, e costringe il giocatore a conoscere l’ambiente in cui si muove, memorizzare certi passaggi, certe rocce che magari lo aiutino ad orientarsi; oltre a forzarlo a pianificare i movimenti in anticipo, salvo incontrare una strada sbarrata da un ostacolo. Bellissimo.

L’altro aspetto principe è la tensione. Siamo nel bel mezzo di una tormenta, non abbiamo visiblità ed è presto chiaro che qualcosa non torna, e che la nostra vita è costantemente in pericolo. I salti sulla sedia si sprecheranno, specialmente se giocate in una stanza buia senza rumori di fondo!
Kholat metterà sotto esame i nostri nervi, e facendo un sapiente uso di suoni e luci ci metterà in una condizione di stress emotivo certo non indifferente.

 

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Kholat non pretende però di essere un capolavoro. Non ci sono eccellenze tecniche, non ci sono chissà quali scelte mirabolanti di gameplay; è un gioco che sfrutta al meglio quanto si può chiedere ad un piccolo studio di programmatori. Lavora sul comparto emotivo e lo fa molto bene; ed anche se le nostre peregrinazioni non dureranno molto (in 6-7 ore avrete concluso il gioco) l’esperienza sarà comunque più che positiva.
Tutto è basato su suoni, luci, sensazioni, rumori, colori; capiterà spessissimo di fermarsi nel mezzo del bosco per capire se c’è qualcosa intorno a noi, o per capire se siamo seguiti; o di fare incontri terrificanti nei quali avremo pochissime possibilità di cavarcela.

Il gioco è poi arricchito da alcune note, che troveremo sparpagliate in giro per la zona, e che contribuiranno a creare un alone di mistero irrisolto.

Kholat è un gioco che piacerà a chi apprezza il mondo dei videogiochi indie e le atmosfere fanta-horror; e sebbene non rientri nel gotha dei videogiochi paurosi, l’esperienza che fornisce è più che positiva (magari prendetelo quando lo trovate intorno ai 7-10 euro, non di più).

 

Kholat, 2015
Voto: 7.5
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