Il 7 aprile 1994 ha inizio uno degli ultimi grandi genocidi del ventesimo secolo. Niente camere a gas o plotoni di esecuzione, ma tanti machete, mazze chiodate e bastoni per insanguinare la terra del Ruanda.
L’aereo con a bordo il presidente ruandese e l’omologo burundese, viene colpito da missili terra-aria ed esplode nel cielo a pochi minuti dall’atterraggio nella capitale del Ruanda, Kigali. Il paese, che vanta appena 28 anni di indipendenza dal Belgio, è sull’orlo del collasso per via delle lotte interetniche intestine: da una parte gli Hutu, gruppo di appartenenza dello stesso presidente; dall’altra i Tutsi, le cui frange più estremiste si sono organizzate nel Fronte Patriottico Ruandese e dal 1990 portano avanti una guerra civile, solamente in parte tamponata e ridimensionata dai caschi blu dell’ONU intervenuti con missioni di peacekeeping.
I missili che il 6 Aprile 1994 interrompono bruscamente il viaggio e la vita di Juvela Habyarimana aprono il capitolo del genocidio ruandese, immediato e feroce. Appresa la notizia della morte del loro presidente, e incitati in maniera fanatica da canali di informazione locale come la famigerata “Radio Télévision Libre des Mille Collines” che invita i suoi ascoltatori a “schiacciare gli scarafaggi, migliaia di Hutu si riversano per le strade alla ricerca degli odiati nemici interni.
Il primo ministro del Ruanda, dai toni ben più moderati rispetto ad altri colleghi politici, viene assassinato già nel primo giorno di tumulti insieme a cinque soldati ghanesi e dieci caschi blu che formano la scorta ufficiale. È un segnale importante per la comunità internazionale che, in maniera quasi del tutto inaspettata, decide di ritirare la maggior parte dei contingenti presenti nel paese invece di aumentarne la presenza per cercare di limitare l’escalation di violenza. Un nuovo governo viene creato con l’unico scopo di mediare una fuoriuscita dal caos, ma la realtà è distante dai tavoli dei palazzi di potere. In strada si uccide, con una violenza inaudita, quasi animalesca. Interi villaggi Tutsi vengono presi d’assalto dalle milizie Hutu, munite di temibili machetes, e nessuno si salva.
La risposta della frangia armata dei Tutsi (FPR) non tarda ad arrivare. Paul Kagame, leader del FPR e futuro presidente del paese, lancia un’offensiva armata con lo scopo di occupare la capitale, prendere il potere e far finalmente cessare le violenze; è una guerra civile in mezzo a un genocidio che interessa uno stato intero. E se da una parte gli Hutu iniziano a spaventarsi e a fuggire dalle zone liberate dal FPR, nel resto del paese la caccia ai Tutsi continua senza sosta. Centinaia di migliaia di Hutu si dirigono verso le frontiere con il Burundi, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo. Un mese dopo l’inizio del caos in Ruanda, le Nazioni Unite acconsentono all’invio di circa 7000 truppe con funzioni di polizia, quasi del tutto inutili data l’entità del conflitto.
È solo a luglio che Kigali cade in mano al FPR e la situazione inizia a stabilizzarsi. Gli Hutu adesso fuggono in massa, temendo repressioni e vendette, dando vita a numerosi e sterminati campi profughi a ridosso del confine nazionale. Da crudeli predatori con machetes e bastoni chiodati, in pochi mesi si ritrovano con una situazione del tutto capovolta. Il bilancio è tuttavia tragico: si stimano quasi un milione di vittime tra i Tutsi uccisi, circa il 75% del gruppo etnico ruandese spazzato via.
Se non colpisce il numero delle vittime, sicuramente lo fa la barbarie e la durezza dei modi coi quali questo genocidio è stato portato avanti. Un ultimo grande momento di crudeltà collettiva a chiudere un secolo che di crudeltà ne ha viste fin troppe. Rimane ancora oggi inspiegabile il comportanto adottato dagli enti internazionali operanti in Ruanda, così come il ritiro del 90% dei caschi blu nelle prime settimane di violenze. Tante inchieste sono state portate avanti da allora senza mai arrivare a una vera conclusione. Di ciò che fu, rimane oggi il Memoriale del genocidio a Kigali, che raccoglie i resti di circa 250.000 persone insieme a testimonianze di varia natura.
Ricordiamo anche l’ottimo film Hotel Rwanda, che racconta di quei giorni.