Giovanna D’Arco: la recensione

Luc Besson si conferma essere un grande regista: la visione di Giovanna D’ Arco non è affatto la delusione che molti hanno denunciato.

 

l film (cui c’ eravamo accostati un poco scettici, giusto perché già sapevamo come andava a finire) va interpretato non tanto in chiave Braveheart (cui pure è debitore, e il cui accostamento ha provocato le cattive critiche che molti hanno sentito), quanto come vero e proprio apologo sulla religione e sui suoi funesti effetti sull’umanità.

Incipit tragoedia con una splendida ragazzina che si va a confessare per la terza volta in una sola giornata, e termina con la Pulzella d’Orleans ardente su di un rogo mentre le viene accostato un crocifisso al volto orrendamente ustionato. Durante lo svolgimento della trama più volte assistiamo allo iato apertosi tra il fanatismo e la pietà religiosa, insanabilmente presenti nella mente schizofrenica della giovane lorena. Più volte ho pensato che un buon titolo sarebbe potuto anche essere “La pazzia di Giovanna d’Arco”, parafrasando il classico film di Bergman.

Curiosamente, nella condanna, oserei dire maledizione, che Besson fa del cristianesimo, ne esce salva la Chiesa, con grande obiettività storica: pur non assolvendo dall’abominio i preti, concede loro il beneficio della buona fede, addossando (qui, invece, con una cera faciloneria) la viltà ed il disonore tutto alla realpolitik dei sovrani rivali e relative corti.

 

 

Altresì interessante è la riflessione sulla forbice che esiste tra la realtà e una ripresentazione idealizzata della medesima, tra dire e fare, tra i buoni propositi e la crudezza dei campi di battaglia. Con grande acutezza ci è dato di ragionare circa il dilemma di fondo che attanaglia l’animo semplice della Pulzella: l’assoluta certezza della divinità delle sue rivelazioni, ma anche il dubbio sulla legittimità di altri a sentirle ed a goderne; l’arroganza di colui il quale si sente chiamato dal cielo, e contemporaneamente la professione di umiltà imposta dal Vangelo.

La sete di vendetta per la morte della sorella (per mano della soldataglia inglese), unita alla fanatica pietà religiosa della fanciulla, scatenano in essa un desiderio di un Dio biblico, ultore. Le sue visioni hanno protagonisti Cristi severi, arcigni, apocalittici e non evangelici.

La sublimazione della sete di vendetta in amore patriottico, e la conseguente ricerca di un re che possa porsi al servizio della Francia (quasi identificando la Francia con la sorella stuprata ed uccisa dalla canea nemica), rappresentano il mistero che nasconde la testa bionda dell’eroina: nel finale, questo bisogno lancinante di giustizia viene smascherato dalla magistrale interpretazione di Hoffman-coscienza. Molte sarebbero potute essere le spiegazioni delle visioni e degli avvenimenti “miracolosi” che ella immaginava, ma la giovane Giovanna voleva trovare in essi del trascendente e del divino, avendo necessità di una scusa per giustificare la sua vendetta. Ed in ultima analisi per giustificare la sua stessa fede.

 

 

Sottilmente si può ripercorrere il perverso meccanismo che ha portato alla rivolta e alla follia Giovanna d’Arco: la disperazione e l’umiliazione che colpiscono senza pietà una ragazzina pia e timorata; se un Dio esiste esso deve essere giustiziere. Ed il suo strumento di giustizia non può che essere l’opposto di quello dell’oppressore straniero. All’Inghilterra invasore deve opporsi una Francia libera e risoluta. Non dunque patriottismo, bensì frustrazione che cerca nel nazionalismo sfogo e mezzo di soddisfazione.

In conclusione, un film profondo e dalle travolgenti teorie di simbolismi da ragionare, più che da vedere. Unica nota dolente, la musica di sottofondo della scena finale, squallida copia de Oh Fortuna dai Carmina Burana di Orff. Con tutto quello che sarà costato il film, potevano anche permettersi di meglio.

 

Giovanna D’Arco, 1999
Voto: 8
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