A maggio il prezzo della benzina potrebbe tornare a salire: è quanto si teme a seguito del taglio della produzione di petrolio annunciato dall’OPEC.
L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio ha annunciato a sorpresa un taglio sulla produzione del petrolio pari a circa 1,16 milione di barili al giorno per tutto il 2023. Le nuove restrizioni sono in linea con la politica di austerity già attuata dalla Russia dall’inizio del conflitto con l’Ucraina e portano il volume totale dei tagli mondiali alla produzione a circa 3,66 milioni di barili al giorno, pari al 3,7% della domanda globale.
Nello specifico, l’Arabia Saudita taglierà la propria produzione giornaliera di petrolio di mezzo milione di barili, gli Emirati Arabi Uniti di 144.000 e il Kuwait di 128.000 barili; la stretta è stata condivisa anche da Oman, Kazakistan, Iraq e Algeria. A metà marzo, il petrolio aveva toccato il livello più basso da quindici mesi a questa parte (72 dollari al barile). Sulla scia del greggio, è cresciuta anche la quotazione del gas, che ha guadagnato il 3%.
Secondo il Ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, si tratta di una “misura precauzionale per salvaguardare la stabilità del mercato del petrolio” che fa eco alle dichiarazioni del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo cui i tagli sono “nell’interesse dei mercati globali dell’energia”. Il vice Primo Ministro russo, Alexander Novak, ha aggiunto che Mosca estenderà il proprio taglio volontario di 500.000 barili al giorno fino alla fine del 2023, a seguito all’introduzione dei limiti di prezzo occidentali. La mossa a sorpresa dell’Opec ha preso in contropiede gli analisti, portando il prezzo del greggio oltre gli 84 dollari al barile (+5,5%).
Non è chiaro se le ultime mosse del Medio Oriente siano tese a mandare un messaggio ben preciso all’Occidente o, più semplicemente, a colpire gli speculatori sui mercati energetici. Sicuramente la decisione dell’Opec non è piaciuta né all’Europa né, tantomeno, agli Stati Uniti. Secondo il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, “coloro che controllano i combustibili fossili stanno giocando. Vedono che i prezzi stanno scendendo perché la domanda sta diminuendo, e allora producono di meno per aumentare i prezzi”. Dal canto loro, gli Stati Uniti sostengono la necessità di prezzi più bassi che possano sostenere la crescita economica globale, impedendo al contempo al presidente russo, Vladimir Putin, di guadagnare sui rincari del greggio, con relativi nuovi finanziamenti russi alla guerra in Ucraina. Secondo Bloomberg, invece, la scelta dell’OPEC+ sarebbe rivolta agli speculatori che scommettevano sul calo dei prezzi del petrolio, soprattutto dopo il 20 marzo, quando il prezzo del greggio ha toccato i minimi dopo 15 mesi, a causa dell’incertezza del settore bancario che minaccia l’economia.
A prescindere dagli intenti, la scelta dell’Opec evidenzia un dato ormai incontestabile: il potere di prezzo del Medio Oriente è in forte ascesa rispetto ai livelli passati. La sua quota di mercato risulta essere elevata se confrontata con l’offerta non Opec, tanto da essere in grado di sostenere dei tagli “precauzionali” così elevati senza subire la minaccia di perdite significative della propria quota di mercato. Il nuovo taglio della produzione ricorda quello di ottobre 2022, pari a 2 milioni di barili al giorno, previsti da novembre fino alla fine dell’anno: una scelta che aveva già fatto arrabbiare Washington. Tuttavia, all’epoca, la domanda di petrolio era in ribasso a causa del recente down dell’economia cinese dopo la nuova ondata pandemica di fine 2022. La ripresa economica di Pechino, insieme ai nuovi tagli del greggio sul fronte Russia-Medio Oriente, potrebbero essere gli estremi di una alleanza “tacita” che rimetterebbe in discussione i recenti equilibri internazionali, instaurando un nuovo ordine mondiale. In quest’ottica, sarebbe auspicabile, per l’Unione Europea, il raggiungimento al più presto dell’autonomia in termini energetici, con il ricorso massiccio al nucleare e alla decarbonizzazione delle fonti energetiche.