Haiti: l’agonia di un popolo

Haiti è uno dei paesi più poveri del mondo, colpito nell’arco di dieci anni da due terremoti devastanti. Dov’è finita l’empatia dell’Occidente?

 

 

A seguito del terribile terremoto che colpì l’isola nel 2013, l’Italia fu la prima ad intervenire inviando la portaerei Cavour adibita ad ospedale per fronteggiare l’emergenza umanitaria haitiana.

Il sisma distrusse scuole, ospedali, mense ed altre centinaia di infrastrutture che, seppur ridotte all’osso da una gestione politica tutt’altro che oculata, erano comunque fondamentali per permettere alla popolazione di avere una speranza ed un futuro; la macchina degli aiuti internazionali si mise subito in moto, e l’isola venne popolata da beni prima considerati rari come cibo ed acqua potabile.

Gli aiuti internazionali furono vitali e riuscirono nell’impresa di contenere il numero delle vittime, già drammaticamente attestatosi oltre le 100.000. Insieme ai medici e agli aiuti alimentari giunsero nell’isola anche i Caschi Blu dell’ONU con la missione di mantenere un ordine pubblico già labile prima del terremoto; tuttavia, oltre alla sicurezza, portarono anche un’infezione di colera che non fece che peggiorare la situazione sanitaria.

 

 

Oggi Haiti è ancora lo spettro di se stessa: le macerie del terremoto sono rimaste tali e fanno da cornice ad un disagio sempre più dilagante in cui la rarità è avere la possibilità di studiare o lavorare. Proprio il sistema scolastico è il neo peggiore sulla pelle dello Stato, dal momento che la mancanza di scuole non fa che produrre ulteriore criminalità giovanile che a sua volta non fa che ridurre l’aspettativa di vita (62 anni, la più bassa di tutto l’emisfero occidentale) a causa delle violenza che produce e a cui è sottoposta.

Il periodo pandemico ha spostato completamente l’attenzione dell’Occidente da Haiti: impegnato nella salvaguardia delle proprie società e delle proprie economie il blocco di paesi occidentali ha smesso di sostenere la rinascita di un paese che non poteva di certo esaurirsi nell’arco di pochi mesi o anni, soprattutto alla luce degli eventi catastrofici avvenuti dopo il terremoto, come l’uragano Matthew e l’assassinio del presidente Moïse.

Ora che la pandemia da Covid-19 sembrerebbe essere cessata i paesi del blocco occidentale dovrebbero riprendere con maggiore enfasi la macchina della solidarietà verso Haiti, soprattutto in virtù della mobilitazione generale che c’è stata recentemente dal punto di vista degli aiuti economici, con enti internazionali come la BCE e il FMI che hanno elargito prestiti finalizzati proprio al rilancio delle varie economie locali.

 

 

Questi aiuti al momento non sembrerebbero esserci, come non parrebbe esserci la volontà da parte degli stati più economicamente sviluppati e vicini geograficamente ad Haiti, come gli USA ad esempio, ad investire tempo, risorse e il proprio patrimonio di conoscenze in favore del martoriato Stato caraibico.

Il perché potrebbe essere spiegato attraverso una serie di dietrologie difficili da dimostrare, come ad esempio quella secondo la quale il tracollo di Haiti faccia comodo a tutti quegli speculatori che vedono nel disagio dell’isola delle plurime opportunità di guadagno, come il commercio illegale di armi o la possibilità di sfruttarne le risorse.

Molto probabilmente questa teoria è destinata a restare tale, e il motivo del disinteresse internazionale verso Haiti sta nel fatto che la criticità raggiunta sull’isola è ad un livello tale per cui non basterebbe più il semplice intervento umanitario, ma si dovrebbe intervenire in maniera più profonda: Haiti avrebbe bisogno di un contingente internazionale che possa restituirgli un futuro non solo attraverso la costruzione di edifici, ma soprattutto attraverso la costruzione negli anni di un sistema sociale sano e libero da violenza e corruzione.

In un momento del genere in cui in molti degli stati più sviluppati hanno virato su un’economia e una politica più nazionaliste e conservative, in risposta alla crisi pandemica, sembrerebbe molto difficile che ci possa essere un forte impegno congiunto verso lo stato caraibico; probabilmente le potenze occidentali non vogliono rischiare di finire impantanate in una questione lunga ed articolata che richiederebbe un impegno costante di fondi e di uomini.

 

 

La decadenza di Haiti però è un problema che prima o poi potrebbe investire “l’Occidente”: il tracollo totale di uno stato infatti non si esaurirebbe con la sua implosione, ma darebbe il là ad una serie di dinamiche (come ad esempio l’immigrazione clandestina di uomini e donne privi di qualsiasi bene e senza più nulla da perdere) che non annullerebbero i problemi degli Haitiani ma li sposterebbero solo.

Haiti ha bisogno di una mano tesa; ci ricorderemo per tempo, o la tenderemo quando ormai non ci sarà più nessuno che la potrà afferrare?

Per condividere questo articolo: