La ricaduta della guerra in Ucraina: quali gli effetti nei prossimi mesi?

Nonostante si sia ancora nel pieno della battaglia per l’Ucraina, già oggi è possibile individuare alcune importanti conseguenze a medio e lungo termine.

 

 

Sappiamo bene come l’invasione russa del territorio ucraino sia ancora in atto, e che i difensori non abbiano assolutamente intenzione di alzare bandiera bianca. Sebbene l’esito dello scontro sia piuttosto indirizzato, ma è ancora da capire in quali condizioni ci si arriverà, ci sono delle conseguenze che vedremo solo nel prossimo futuro ma che sono già oggi ipotizzabili.

La prima ed evidente conseguenza è il fatto che Putin, con la sua scelta di un’invasione totale di uno Stato indipendente (a prescindere dal perché ci sia arrivato), ha ricompattato lo spirito delle Nazioni europee. Un continente diviso da vent’anni di prevaricazioni economiche attuate all’interno dell’Unione Europea ha ritrovato una inaspettata unità sotto la bandiera della libertà e della minaccia dell’innato desiderio espansionista russo.
A dare un forte impulso di coesione sono state le Nazioni più ad est, su tutte la Polonia, che sono ampiamente memori degli scempi e dell’orrore provocato dalla dominazione sovietica. Ma soprattutto, questo impulso ha forzato la mano a quei Paesi che negli ultimi anni hanno fatto dell’Unione Europea terra di conquista (Germania e Francia) e che da un muro contro muro economico con la Russia hanno più da perdere.
Questo aspetto apre ulteriori ragionamenti, che non affronterò in questa sede per ragioni di tempo, sul fatto che a dimostrarsi i primi ad organizzare aiuti per i civili ed a supportare militarmente gli ucraini, mettendoci immediatamente la faccia, sono gli stessi Stati che da anni sono tacciati di nazionalismo, razzismo e populismo dall’intellighenzia europea; ma forse sono proprio queste Nazioni ad incarnare lo spirito europeo di libertà e cultura.

 

 

Il secondo elemento da considerare è che la Russia si è completamente isolata dal resto del mondo. Anche Xi Jinping, che probabilmente ha dato il suo benestare sull’invasione ucraina durante il suo incontro con Putin alla vigilia delle olimpiadi invernali di Pechino e che ad oggi è l’unico (ma importante) alleato forte del Presidente russo, sta rimandendo fuori dalla mischia. È ipotizzabile che nel lungo periodo l’economia russa e quella cinese si avvicinino molto, ma è pur vero che il PIL della Russa è una frazione di quello dell’Unione Europea (assimilabile a quello della sola Spagna): può la Cina rischiare di perdere tutti i suoi partner commerciali che fanno riferimento alla sfera occidentale per mettere le mani sulle risorse petrolifere russe, unica vera arma di scambio di Putin?
Gli altri Stati di una certa rilevanza che potrebbero decidere di entrare nelle grazie dello Zar sono India e Brasile, che non hanno ancora preso una posizione forte contro l’atto di guerra russo; ma anche qui, dovesse formarsi un polo Russia-Cina-India (più difficile il Brasile), vedremmo un blocco dalle forti potenzialità ma dalla improbabile tenuta politica.

 

 

Peraltro, questi quattro Paesi (e qui veniamo al terzo punto) sono insieme agli USA i più grandi inquinatori del globo; la Cina mantiene la sua crescita esclusivamente con l’utilizzo del carbone, e l’India si è defilata dagli accordi sul clima presi nel recente (ma ormai obsoleto) COP26.
La realtà è che questa inaspettata crisi, unita alla già presente crescita esponenziale dei prezzi di gas ed energia elettrica (causati soprattutto proprio dagli accordi sul clima), affossa una volta per tutte ogni tentativo di avere un mondo più pulito; il ricorso al carbone da parte dell’Europa, stante all’attuale situazione, è inevitabile, con buona pace di tutti i condivisibili propositi di tutela (o mantenimento) dell’ambiente.
Insomma, se da un lato forse occorrerà riconsiderare l’utilizzo del nucleare, la fonte energetica più distruttiva e pericolosa che esista, tutti i tentativi per uscire rapidamente da questa crisi energetica non possono portare alcun beneficio nel breve termine – né economico, visto che per costruire una centrale nucleare servono circa 10 anni, né ambientale.

 

 

L’ambito economico è il quarto tema scottante sul tavolo. In piena crisi inflattiva, con un rialzo dei prezzi dovuto in parte al boom post-pandemia, in parte alle decisioni prese durante il COP26 ed in parte causato da pura speculazione, la repentina chiusura al gas ed al petrolio russo e la contestuale esclusione della Russia dal sistema dei pagamenti interbancari non può non comportare un aggravio della situazione.
Le numerose aziende occidentali che vantano crediti presso le ditte russe possono dire addio a quanto loro spettante, e lo stesso può dirsi per chi ha in Russia il suo principale mercato di esportazione. La crisi in Italia sarà durissima, non tanto nei prossimi mesi quanto in inverno, quando vedremo combinati gli effetti sulla piccola-medio impresa e dei prezzi del gas, affatto destinati a scendere.

 

 

Dal punto di vista militare ovviamente cambiano completamente gli scenari. Il ritorno della guerra fredda è un fatto evidente, con tutto quel che comporta, a partire dal cambio degli equilibri strategici. Già abbiamo parlato di un possibile asse Russo-Cino-Indiano; l’occidente non può rimanere a guardare. Anche se probabilmente non torneremo a respirare quell’atmosfera cupa ed opprimente che solo chi ha vissuto negli anni ’80 può ricordare, è assicurato un lungo periodo di tensioni internazionali, che come è ovvio che sia non sono facilmente prevedibili – figurarsi controllabili.
L’Italia potrebbe beneficiare da questa situazione se il suo ruolo di portaerei nel Mediterraneo dovesse rivelarsi nuovamente importante; ma col cambio degli attori e delle alleanze rispetto agli ultimi anni della precedente guerra fredda, questa supposizione non è così scontata.
E intanto, non va scordato il pericolo islamico, al momento silenzioso, ma strisciante ed ancora vivo.

 

 

Ultimo aspetto da considerare sono le proteste montanti nell’opinione pubblica russa. Gli oltre 6000 arresti (in aumento) avvenuti durante le manifestazioni spontanee verificatesi nelle principali città russe stanno a significare un evidente scollamento fra l’establishment politico e la popolazione, che chiaramente punta ad uno stile di vita certamente più liberale e democratico rispetto a quella classe dirigente ancorata al passato e ad una forma mentis legata ad un periodo storico che speravamo scomparso.
Se una pressione da parte della popolazione per un cambio di regime non è certo sufficiente ad attuare un cambiamento in uno Stato totalitario come la Russia di oggi, è pur vero che i poteri economici russi potrebbero richiedere un cambio di strategia e di passo, anche sulla pelle di Putin.

I prossimi mesi saranno estremamente incerti, ma quello che è certo è che, prima di diradarsi, le nubi sono destinate a restare sul nostro cielo per molto, molto tempo.

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