Fumo: giuste limitazioni o caccia alle streghe?

Quando la tutela della salute sconfina nella ghettizzazione: perché proibire spesso è molto peggio che educare.

 

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I vizi, si sa, fanno parte dell’uomo da millenni: alcool, tabacco e droghe sono da sempre parte integrante della natura umana. Se è vero che l’alcool non necessariamente genera dipendenza, ed infatti la maggior parte delle persone beve ragionevolmente e occasionalmente, ciò non è altrettanto vero per tabacco e droghe: entrambi sono nocivi e dannosi e, soprattutto le droghe, sono estremamente più pericolose nonché illegali.
Ecco, soffermiamoci un attimo su questo aspetto: la differenza tra legale o illegale è ben nota a tutti grazie a leggi e regole ben precise. Queste leggi però sono scritte sempre dagli uomini e alcune di queste fanno sorgere il dubbio che nell’emanarle siano influenzati da molti fattori non propriamente oggettivi; basti pensare proprio al tabacco e l’alcool: è assodato che facciano male e creino dipendenza ma non per questo sono vietati.

Certo, nessuno vuole accomunare un bicchiere di vino a una pasticca o a una dose di droga, per carità. Il fatto stesso, però, che l’alcool fosse in passato proibilto in alcune nazioni ci fa capire quanto questi distinguo non sempre nascano da motivi di tutela della salute, e quanto a volte siano tollerati per motivi meramente economici.
Negli USA, ad esempio, paese dalle grandi contraddizioni in cui in alcuni Stati si può legalmente consumare marijuana, l’alcool non deve essere visibile se consumato pubblicamente; in quanti film abbiamo visto bottiglie o lattine all’interno di un sacchetto di carta? Proprio gli Stati Uniti ebbero nel periodo dal 1920 al 1933 il cosiddetto “proibizionismo” legato all’alcool, ossia ne era vietata la fabbricazione, la vendita, l’importazione ed il trasporto. Non notate che a questi divieti manchi qualcosa? Manca la parte in realtà più importante, il consumo.

 

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Sì, avete capito bene, l’incoerenza e l’ipocrisia dell’essere umano portano a leggi come appunto il Volstead Act che proibiva tutto tranne il consumo, dando il via chiaramente al mercato clandestino ed alla criminalità legata ad esso, perché quando rendi una cosa illegale fai fiorire traffici illeciti in ogni dove. Ecco perchè è necessario creare consapevolezza soprattutto nelle nuove generazioni; la vera vittoria arriverà quando sarà superfluo vietare e reprimere.

Nel mondo però i motivi che portano a vietare o consentire alcune sostanze o abitudini sono spesso influenzate da molte lobby e fattori esterni: la prostituzione, ad esempio, considerata non a caso il mestiere più antico del mondo, è consentita e normata in alcuni paesi, ma vietata nella maggioranza degli altri dove, per molteplici ragioni, non si prende atto del fatto che proibire un fenomeno non lo elimina assolutamente, nè riduce la criminalità ad esso associata o i rischi di salute per chi la pratica.

Torniamo però al fulcro di questo articolo: il tabacco. Per non divagare troppo restiamo a casa nostra, dove il tabacco è consentito e regolamentato dallo Stato che, peraltro, incassa somme considerevolissime con le imposte ad esso applicate anche per disincentivarne l’uso. In tutto il mondo la scienza medica ha riconosciuto la sua pericolosità per la salute e negli ultimi anni sono state fatte delle campagne di informazione importanti ed efficaci: il fumo è stato vietato in quasi tutti gli ambienti chiusi, soprattutto quelli pubblici, ed è stato vietato ai minori che ancora più degli adulti ne subiscono le conseguenze fisiche.

Negli ultimi anni però alcune di queste norme, più che giusti divieti per la salute dei non fumatori, sembrano diventate delle persecuzioni e delle ghettizzazioni per coloro che ne fanno uso: se una persona adulta sceglie di fumare, nonostante la consapevolezza dei rischi per la salute che ne derivano, dalla sua azione non ne può nascere una ghettizzazione, una costrizione a rispettare dei limiti che non trovano nè una concreta utilità nè una possibilità di reale applicazione, come appunto il divieto di fumare all’aperto.

 

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Una di queste norme è recentissima e riguarda il Comune di Milano, che dal 1° Gennaio 2021 “bandisce il fumo di sigaretta all’aperto tranne che in luoghi isolati: dalle fermate dei mezzi pubblici ai parchi, fino ai cimiteri e alle strutture sportive, come gli stadi, sarà proibito fumare nel raggio di 10 metri da altre persone e altre follie tipo il divieto dal 1° Ottobre 2023 di usare legna per i forni per pizzeria, se non legna di tipo A1 ossia con umidità non superiore al 25%.
La Giunta Comunale ha approvato il regolamento, sollevando non pochi dubbi sulla effettiva utilità di alcuni provvedimenti, così come sulla legittimità degli stessi. È doveroso però tenere in considerazione un aspetto riguardo al fumo: comprendendo il legittimo diritto di chi non fuma a non subirlo passivamente (ambienti chiusi pubblici e privati, parchi giochi, eccetera); una domanda però nasce spontanea: DOVE sarà possibile farlo?

Qualcuno mi spiega in città come Milano o Roma o Napoli (c’è da scommettere che questa norma arriverà presto anche altrove) all’aperto, in centro o comunque in zone non isolate, si potrà mantenere 10 metri di distanza dagli altri? Quando non hai visto nessuno intorno e ti sei acceso la sigaretta e ti arriva un gruppo di gente, cosa fai, scappi? Quando si creano nuove regole abituarcisi ed adattarsi ad esse non è sempre così semplice, ed anche per le stesse forze dell’ordine applicarle diventa complesso (come abbiamo ascoltato spesso negli ultimi mesi per le sanzioni legate alle restrizioni dei DPCM Covid).

 

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Quell’azione prima banale e scontata di accendersi una sigaretta, ora dovrà essere oggetto di maggiori attenzioni e indurrà le persone a guardarsi intorno, valutare luogo e distanze dagli altri, controllare che non ci siano fermate del trasporto pubblico nelle vicinanze per poi estrarre di nascosto il pacchetto neanche fosse della droga. Nell’arco degli anni la separazione tra fumatori e non si è accentuata in maniera nettissima con posizioni sempre più lontane tra loro; dove inizialmente c’erano alcuni luoghi dove non si poteva fumare fino ad arrivare ad oggi dove questi spazi vanno riducendosi sempre di più, sperando che questo non inneschi appunto un confinamento ingiustificato dei fumatori. Non tiene anche il concetto che il fumatore quando si ammala grava sulla sanità pubblica: anche per l’alcolizzato o l’obeso è lo stesso, ma nè l’alcool nè i fast food sono vietati o relegati in zone autorizzate.

Potremmo elencare decine di comportamenti che violano o mettono a repentaglio la salute comune, ma si rischia di innescare una caccia all’untore, alla stregua di quella che, in parte, sta accadendo per la recente pandemia. È sempre più complesso, infatti, nella società attuale, dividere tra lecito e non, tra consentito e proibito.

Insomma i fumatori milanesi, con l’anno nuovo, avranno un grattacapo in più: fumare non è illegale ma non sarà più così semplice e scontato come era in precedenza; bisognerà stare attenti a non vedersi affibbiare una multa anche se a neanche un mese dall’entrata in vigore dei divieti non si conosce ancora l’entità delle sanzioni. Si rischierà di ingolfare gli uffici dei Giudici di Pace coi ricorsi, o i meneghini si adegueranno al modello già attuato nelle metropoli mondiali quali New York, Sidney o Parigi dove le sigarette sono state bandite da ogni area verde?

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