I tedeschi del Volga

Nella seconda metà del 1700, decine di migliaia di tedeschi emigrarono nelle profondità dell’Impero Russo. È l’inizio della storia dei tedeschi del Volga.

 

 

A dare inizio a questa strana quanto improbabile ondata migratoria fu la conosciutissima Caterina II, salita al trono di Russia in seguito alla prematura morte del marito Pietro III. Tedesca di nascita, ma intrecciata e legata inesorabilmente ai destini della nazione russa, decide di seguire l’esempio di Maria Teresa d’Austria la quale, a partire dal 1740, invita ufficialmente gli etnici tedeschi a emigrare e ad insediarsi ad est, nel Banato servito dal grande Danubio, un territorio che oggi si divide tra Romania, Ungheria e Serbia. Con una serie di manifesti pubblicati tra il 1762 e il 1763, Caterina promette vergini terre da domare e coltivare, con la possibilità di mantenere le tradizioni e la cultura tedesche persino in quelle terre così lontane. Il primo responso appare molto timido e in pochi sono disposti a lasciare la propria terra natia, ma quando Caterina promette anche l’esenzione dal servizio militare per gli etnici tedeschi emigranti, così come la possibilità di esercitare il proprio credo religioso senza alcuna persecuzione, ecco che in molti rispondono all’appello.

La prima ondata di coloni, poco più di 30 mila anime, raggiunge la poco ospitale steppa nei pressi del fiume Volga. Più di cento piccole colonie vengono fondate, nonostante le difficoltà iniziali e l’ostilità dimostrata dalle tribù di nomadi, che arrivano persino a saccheggiare villaggi e catturarne gli abitanti. In pochi anni le minuscole colonie si trasformano in ferventi villaggi e la regione prospera, tanto da diventare una delle regioni più produttive della Russia zarista. Dopo le guerre napoleoniche, data anche la continua crescita demografica di queste popolazioni tedesche, viene concessa un’ulteriore espansione nelle regioni adiacenti che di fatto raddoppia il numero di insediamenti tedeschi, portandolo a oltre duecento.

 

 

La prosperità e la gioia dei coloni dura però solamente fino al 1874, anno nel quale le autorità zariste decidono di far decadere l’esenzione al servizio militare per i coloni del Volga: molti degli etnici tedeschi emigrati sono di credo Mennonita, e rifiutano la partecipazione a qualsiasi tipo di servizio militare. Temendo ulteriori ripercussioni, molti decidono di abbandonare quelle terre per emigrare verso nuovi territori. In meno di quaranta anni dunque, all’alba della Prima Guerra Mondiale, più di 100 mila tedeschi del Volga si spostano verso Stati Uniti, Canada e Sud America. Saranno tra i più fortunati e fonderanno comunità tedesche che perseverano ancora ai giorni nostri.

A partire da questo momento, le condizioni di vita dei tedeschi del Volga peggiorano sempre di più: le nuove guerre portano via i più giovani e forti, le carestie di fine secolo tormentano la regione e il nuovo secolo di certo non promette di meglio. La caduta dei Romanov e il conseguente accentramento del potere nelle mani dei bolscevichi accellera il declino della comunità. Nell’appena inaugurata era delle purghe, il benessere dei contadini di etnia tedesca appare sufficiente per essere bollati come nemici del popolo e dunque incarcerati, deportati o spesso direttamente fucilati sulla porta di casa propria. Il governo comunista, vinta la guerra con i Bianchi antirivoluzionari, cerca di dare una parvenza di stabilità interna, istituendo la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Tedesca del Volga, con capitale a Engels e di lingua ufficiale russa e tedesca. Si cerca di mediare infatti un rapporto “pacifico” con una zona altamente produttiva la cui distruzione totale non gioverebbe di certo a Mosca. La scarsa gestione di questo nuovo apparato politico si fa subito sentire però: una serie di durissime carestie colpisce le popolazioni tedesche tra gli anni ’20 e ’30 con la popolazione che in alcune aree si riduce persino del 25-30%.

 

 

Si arriva così al 1941, con l’attacco della Germania nazista all’Unione Sovietica. In risposta all’invasione, Stalin e i quadri comunisti, temendo una collaborazione tra Berlino e gli etnici del Volga, decidono di sciogliere definitivamente l’entità politica tedesca con base a Engels e di deportare verso la Siberia e l’attuale Kazakistan la stragrande maggioranza della popolazione di lingua tedesca. Le case e i villaggi vengono destinati ai profughi russi delle regioni a ridosso del fronte di guerra, mentre molti tedeschi del Volga moriranno nei campi di prigionia, lontani dalla loro terra e spesso per mano della polizia politica sovietica.

 

 

Fino al 1965, dunque vent’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, agli etnici tedeschi non fu permesso tornare nei loro vecchi insediamenti sul Volga e in seguito furono molto pochi coloro che lo fecero. La maggior parte rimase nei territori dove erano stati deportati e, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, riuscirono ad emigrare in Germania. I tedeschi del Volga sono oggi quasi del tutto scomparsi, e i pochi discendenti di quei coloni ancora rimasti in quella regione russa sono ormai del tutto integrati nella società e nei costumi della nazione di adozione. Nel mondo, e specie negli Stati Uniti d’America, moltissime comunità tedesche ancora presenti oggi devono la loro esistenza proprio a quei tedeschi del Volga riusciti a sfuggire alle turbolenze della storia.

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