La crisi delle software house

Le grandi case di sviluppo sono sul punto di una crisi? Quanto ancora continueranno con manovre anti-consumatore e quanto ancora abbasseranno la qualità dei prodotti?

 

 

Al giorno d’oggi i computer di fascia alta, ma anche media, dispongono di una potenza di calcolo mai vista: prestazioni in costante ascesa il cui progresso è preceduto dalle case di sviluppo capaci di realizzare opere sempre più avanzate e realistiche. Viviamo un’utopia tecnologica dove tutto dovrebbe essere possibile, eppure così non è. Manovre commerciali poco cristalline e dubbie strategie di marketing minano quello che potrebbe essere il paradiso supremo dell’intrattenimento. Ci troviamo forse alle porte di una grande crisi delle software house. Scopriamo insieme perché.

 

 

Quando i videogiochi sono entrati nelle nostre case con le prime console, il mercato ha avuto degli alti e bassi, crescendo inizialmente in maniera lenta ed attraversando anche periodi di grande difficoltà, come ad esempio nel 1983 quando si verificò la ben nota crisi dei videogiochi. Ma dagli anni novanta in poi, e in particolare con l’arrivo della settima generazione di console, il mercato è letteralmente esploso raggiungendo i numeri che conosciamo oggi. Il successo non è stato casuale, ma è stato la somma di tanti piccoli passi su due livelli: quello tecnologico, per cui ogni nuova console apriva degli scenari impossibili alla precedente; quello puramente creativo, ossia costituito da piccole novità pratiche come una nuova configurazione di tasti o di controller o un nuovo concept di gioco che hanno rivoluzionato il modo stesso di pensare i videogiochi.

 

 

Per generazioni queste due vie hanno corso quasi alla stessa velocità, almeno fino alla metà degli anni 2000, dove la via tecnica ha proseguito sulla sua strada, ma non la via creativa. Negli stessi anni si è assestata l’impostazione dei vari generi di giochi (FPS tra tutti) ed anche il modo in cui vengono giocati all’atto pratico (definendo uno standard di controller). Da quel momento in poi ogni novità non è stata capace di influenzare realmente il mondo dei videogiochi, almeno fino ad adesso, costituendo ognuna una parentesi a sé: l’innovazione rappresentata dalla Wii ad esempio – seppur imitata da Sony e Microsoft e parzialmente ripresa dalla stessa Nintendo – non è riuscita ad evolvere il suo mondo. Allo stesso modo non ci sono ancora riusciti i visori VR, unica altra vera novità introdotta negli ultimi dieci anni. Viviamo paradossalmente in anni di stagnazione creativa.

 

 

Ma cosa ha consentito il grande successo delle case di sviluppo negli anni 2000? È in quegli anni che sono nate le grandi IP che ancora oggi ricordiamo ed ancora oggi, molte, continuano a vivere. Il successo di questi giochi risiede nella loro semplicità e nelle loro meccaniche innovative. Vengono in mente tanti giochi EA e Ubisoft, in seguito riciclati nella loro formula ripetendo se stessi senza aggiungere alcunché o venendo snaturati del tutto come Splinter Cell, Assassin’s Creed o Far Cry. È sempre in questi anni che il costo di sviluppo dei videogiochi raggiunse cifre astronomiche: Grand Theft Auto IV, uscito nel 2008, costò la bellezza di oltre 100 milioni di dollari e segnò un record destinato a durare ben poco; anzi, ha quasi segnato lo standard di partenza per lo sviluppo di un gioco AAA. Se è vero che un gioco di successo assicura delle entrate molto alte è pur vero che il suo sviluppo è sempre più caro e necessita ad ogni costo di un rientro molto alto.

 

 

Le grandi case dunque investono sempre più e sono costrette ad allargare il loro bacino di utenza per rientrare nelle spese ed avere un buon margine di guadagno. Ma i giochi NON sono per tutti! Molte IP di successo hanno avuto il loro buon riscontro nel pubblico perché si sono rivolte ad una nicchia di persone o comunque hanno risposto ad una domanda specifica. È il caso di Splinter Cell, serie di giochi d’infiltrazione; come fare per allargare la sua utenza? Lo si rende un gioco d’azione apprezzabile dai più, tradendo il suo target iniziale e snaturando il brand. È il caso di Ghost Recon, nato anch’esso come apprezzatissimo gioco d’infiltrazione di squadra e che oggi è un criticato open world d’azione. E parlando di open world è quindi il caso di nominare Assassin’s Creed II e Far Cry 3, due titoli che hanno plasmato il modo di immaginare questo genere e le cui meccaniche le troviamo ovunque tali e quali, come nell’appena citato Ghost Recon. Si cambiano gli assets, i modelli di gioco, e si copiano le stesse meccaniche ovunque sperando di ottenere gli stessi risultati.

 

 

L’innovazione è diventata troppo rischiosa e le nicchie non meritano più l’attenzione delle grandi case. Ecco che negli ultimi anni subentrano molti sviluppatori indipendenti, piccole case formate da un pugno di persone, che invece si rivolgono appunto a queste nicchie. Ma anche queste case, seppur con spese ridotte, hanno bisogno spesso di ingenti finanziamenti per sostenersi nel corso di anni e anni di sviluppo. La loro salvezza è la pratica di finanziamento Early Access, o per meglio dire degli accessi anticipati, che come sappiamo consente di comprare e giocare i giochi prima che questi siano completi per sostenerne lo sviluppo. Questa è sia la soluzione che il problema: se da un lato è possibile dare luce a progetti molto piccoli è pur vero che molti di questi giochi non vedono mai il completamento – vuoi per esaurimento prematuro dei fondi o perché mal gestiti o perché si è pensato bene di fare cassa e fuggire.

 

 

Ciò che lascia interdetti è che molti piccoli sviluppatori si rifanno a grandi titoli prima sviluppati da grandi case, come SWAT o SOCOM, cercando di dar loro un seguito al passo coi tempi. I giocatori, o meglio i possibili acquirenti, non è vero che manchino: ci sarebbero eccome, ma resta un rischio troppo grande per una EA o una Ubisoft. Inoltre, oggi una piccola casa con pochi sviluppatori ha i mezzi per creare da zero uno SQUAD o un Hell Let Loose, quindi degli FPS tattici con oltre cento giocatori, che potenzialmente possono competere con un più rinomato Battlefield. Atomic Heart è invece un recente indie che sotto ogni unto di vista può competere con un Prey. Basta grande dedizione e cura per i dettagli per creare un buon prodotto. Ma se questi pochi sviluppatori oggi sono capaci di tanto, cosa potrebbero fare con un team più grande e più fondi (senza necessariamente raggiungere cifre astronomiche)?

 

 

Ci ritroviamo sugli scaffali giochi come Battlefield 2042, Lord Of The Rings: Gollum, Cyberpunk 2077 o Fallout 76 (per fare degli esempi ben noti), ovvero giochi che dopo il lancio sono pieni di bug, appena abbozzati, chiaramente lanciati sul mercato prima del tempo. Questo perché il prodotto non ha reale rilevanza, l’importante è fare cassa, magari con i preordini ancor prima che il gioco esca. Che poi, non solo ci si trova tra le mani prodotti non rifiniti, che già al lancio hanno bisogno di decine di giga di patch. E non c’è nemmeno modo di sapere quando escano: le date di rilascio vengono puntualmente disattese annuncio dopo annuncio, e di questo non dovremo mai smettere di lamentarcene perché altrimenti diventa pratica ancora più comune. Prima o poi anche gli investitori smetteranno di avere fiducia nei loro annunci.

 

 

A proposito di fiducia, il nostro errore è stato proprio dare fiducia a queste aziende quando, in effetti, ci hanno fornito i prodotti che desideravamo e che abbiamo amato, ma ora non è più questo il caso. Con abbonamenti, season pass, DLC che non sono altro che parti di gioco strappate in sviluppo, microtransazioni al limite del legale e soprattutto abbassando sempre più la qualità, le software house stanno tirando una corda che prima o poi finirà per spezzarsi. Quando smetteremo di arricchire le loro tasche? Ubisoft ed EA per prime si trovano ora a giocare una partita dove ogni mossa è quella sbagliata: costrette ad alzare sempre più il tiro e fare sempre più cassa per sostenere se stesse finiscono per rilasciare prodotti che si vendono bene, ma accontentano ben pochi, minando ad ogni modo il loro futuro. A queste condizioni le vendite verranno meno. Forse l’unico modo per uscire dalla spirale è con un drastico cambio di rotta: ci si dovrebbe forse focalizzare su più progetti (per mantenere un buon numero di vendite), ma di dimensioni più contenute, mirati a target più ristretti, più curati e con più amore alle spalle.
Case come EA o Ubisoft avrebbero ancora molto da dare, senza rivendere e svalutare le loro vecchie IP, questo è certo, ma se tutto resta invariato gli scenari che si delineano sembrano due: o le grandi case lasceranno il posto alle piccole, che si ingrandiranno a loro volta, o l’intero sistema sarà in crisi.

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