Le decisioni sul tetto del contante e dell’uso del POS sembrano aprire la strada alla piccola evasione; ma c’è altro dietro questa scelta?
Innalzamento a 5000 euro per i pagamenti cash e, nei fatti, la non obbligatorietà di accettare importi con carta di credito o bancomat sotto i 60 euro; sono queste le misure in via di approvazione in parlamento che non possono far discutere.
A prima vista si tratterebbe di decisioni che agevolano la non tracciabilità dei pagamenti e quindi, indirettamente, favorirebbero l’evasione fiscale per le piccole transazioni.
È francamente impossibile pensare che il Consiglio dei Ministri e le forze politiche alle loro spalle possano aver sottovalutato un effetto collaterale di decisioni che cozzano gravemente con l’aspettativa di ordine e legalità a cui fa riferimento buona parte dell’elettorato di centrodestra. La lettura più semplicistica è legata al voler accontentare un’altra parte di elettori, i detentori di partita IVA che sono lo scheletro del tessuto imprenditoriale italiano; una sorta di mangiatoia come regalo dopo aver ricevuto il loro voto nella scorsa tornata elettorale.
No, veramente troppo: sembra la trama di una serie TV molto scadente. Ma allora cosa motiva questa scelta politica?
Forse, e dico forse, è una presa di coscienza sullo stato delle PMI. Gli artigiani, le imprese a conduzione domestica, i piccoli negozi sono in profonda crisi dal 2020: dall’epidemia di Covid che ha portato a tre mesi di fermo completo seguita, dopo un primo timido segnale di ripresa, da un rincaro delle materie prime esacerbato dallo scoppio della guerra in Ucraina. Una sorta di tempesta perfetta che si è abbattuta su tutti i cittadini ma che per ovvi motivi ha costretto le PMI ad assorbirne in parte l’impatto, evitando di scaricare l’intero onere dei rincari sul consumatore finale; e questo non per carità cristiana ma per semplici leggi di economia: un consumatore senza potere di acquisto costringe alla chiusura le imprese.
Il governo in carica potrebbe aver quindi deciso di allentare la presa sui piccoli imprenditori, consentendo una sorta di “evasione legale” per ridare ossigeno ad un comparto allo stremo delle forze. Se questo sia lodevole o meno si fa fatica a capirlo: nei fatti si concede anche un maggior margine per le transazioni illecite legate al trasferimento di contanti, ed anche se la criminalità ha sempre trovato metodi per movimentare grosse somme di denaro contante, allargare le maglie non aiuta certo ad andare verso quella necessità di legalità della quale l’Italia è disperatamente affamata.
Per il comune cittadino è anche difficile capire e digerire una decisione di questo tipo, visto che il lavoratore dipendente è rigidamente tassato fino all’ultimo centesimo; ma il problema di fondo resta una tassazione che in Italia è intollerabile per ogni categoria. Quando si ricorda che le tasse si mangiano oltre il 60% dei profitti delle imprese, non si può pensare che il tessuto produttivo, quello che genera ricchezza per lo Stato e per i lavoratori dipendenti, possa essere vessato in questo modo.
Uno Stato sano dovrebbe incentivare le imprese e permettere loro di operare senza spremerle come vacche da latte; è solo in questo modo che si genera un volano positivo, utile a portare ricchezza distributita. Eppure i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni hanno quasi uniformemente scelto la via dell’austerità, quella gradita ai burocrati di Bruxelles e che come in molti affermavano (noi fra gli altri) non ha fatto altro che inaridire il tessuto produttivo italiano.
Forse la verità è una pillola difficile da mandare giù; una verità scomoda, che non può essere liberamente affermata (analogamente alle manovre dei 5 Stelle quando hanno scongiurato lo scempio che sarebbe stato lo stadio della Roma a Tor Di Valle).
Resta il fatto che se da un lato era necessario permettere alle piccole imprese di respirare, dall’altro è difficile accettare il proliferare di una evasione diffusa che alimenta una mentalità che invece dovrebbe essere strenuamente combattuta.