La manovra economica del Governo Meloni: promossa o bocciata?

Misure adeguate o sbagliate? Si è fatta una gran battaglia sulla manovra del Governo. Cerchiamo di capirla e valutarla senza preconcetti ideologici.

 

 

Una delle cose peggiori che affliggono la politica italiana è la quasi totale impossibilità di assistere ad un dibattito politico non necessariamente maturo, ma almeno onesto. Anche la prima manovra economica del governo in carica è stata soggetta ad una battaglia di basso livello che ha impedito un’analisi seria di quanto visto in parlamento; cerchiamo di valutare la manovra in modo asettico.

Il primo punto da affrontare è quello delle polemiche, che non si fatica a definire strumentali, legate alle tempistiche con cui la manovra è stata varata. Il Governo Meloni si è pienamente insediato solamente il 26 ottobre; in due mesi il nuovo esecutivo ha rivisto e vagliato lo stato delle finanze, approntato le misure da implementare, portato il pacchetto in parlamento, discusso lo stesso con le opposizioni ed infine lo ha presentato all’Unione Europea.
È oggettivamente un record, un risultato del quale Giorgia Meloni va giustamente fiera. Quello su cui si poteva e doveva far meglio è relativo ad una serie di provvedimenti che, appena prima di essere portati in aula, si sono rivelati privi di copertura finanziaria. Errori figli della fretta, gioco sporco interno, inesperienza o semplice mancanza di capacità? Questa è una domanda destinata a non avere risposta.

I punti più controversi sono quelli legati alla flat tax, alla tregua fiscale ed al reddito di cittadinanza.
La flat tax annunciata da Berlusconi e poi rilanciata da Salvini, che l’ha spinta fino al 15%, ha due limiti diversi per autonomi (85000 euro) e lavoratori dipendenti (40000 euro); questa disparità di trattamento è difficilmente giustificabile a livello giuridico, tanto che già si parla di un possibile intervento del Consiglio di Stato.
Vengono aumentate al 35% le tasse sugli extraprofitti delle aziende energetiche, mentre allo stesso tempo viene effettuato un taglio dal 3% al 6% per i dipendenti con redditi bassi.

 

 

Assolutamente non condivisibile uno dei cavalli di battaglia di Salvini, che trova applicazione in questa manovra: quella dello stralcio delle cartelle esattoriali sotto i 1000 euro precedenti al 2015. Anche se si tratta di importi minimi per le casse statali e i costi di esazione superano i crediti realmente recuperabili, il messaggio che si dà alla cittadinanza è terribile: si invita a non pagare quanto dovuto, alla faccia dei cittadini che saldano i propri debiti in tempo e magari facendo sacrifici. È un atteggiamento non tollerabile in uno Stato di diritto, che fa il paio con il tentativo fallito di bloccare l’uso delle carte sotto i 60 euro: se si è in buona fede la strada da seguire non è quella del nero, ma di trattare a livello nazionale con le banche per azzerare le commissioni.
Discutibile anche l’aumento del tetto al contante a 5000 euro: se i 1000 euro imposti dai governi a trazione PD erano ridicolmente bassi, 5000 sembrano un favore a chi deve fare transazioni senza farle comparire. Non si poteva fare una via di mezzo di buon senso?

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza sono state operate necessarie ed urgenti correzioni, con una sostanziale riduzione nel 2023 alle mensilità erogabili, la decadenza in caso si rifiuti un’offerta di lavoro e l’obbligo a partecipare ad un corso di formazione professionale di sei mesi. Dal 2024 poi vedremo una nuova forma di sussistenza pensata non come forma puramente assistenziale ma legata alla ricerca attiva del lavoro. Da questo punto di vista, la frase “la pacchia è finita” è quanto di più corretto si potesse affermare.

Buono quanto previsto per le pensioni, con una riforma che supera l’indecente Legge Fornero e prevede la possibilità di andare in pensione con un minimo di 41 anni di contributi e 62 anni di età (Quota 103). Vengono anche reindicizzate al 120% le pensioni più basse.

Per il caro energia è stato effettuato uno stanziamento di 21 miliardi per calmierare le bollette; purtroppo questa somma coprirà i costi solo a fine marzo 2023, e come già visto in questi mesi si capirà solo di trimestre in trimestre se sarà necessario e possibile per le finanze statali continuare a sostenere queste sovvenzioni. Questa è una misura fondamentale per le PMI, e se il quadro geopolitico internazionale non dovesse cambiare, l’esecutivo dovrà necessariamente trovare altri soldi, probabilmente a debito come fatto finora.

 

 

Altre misure utili per l’industria sono il nuovo posticipo dell’entrata in vigore delle imposte sui confezionamenti monouso e sulle bevande zuccherate, così come il fondo di garanzia che sempre per le PMI garantisce le operazioni bancarie legate all’impresa.
Curiosità poi per la riattivazione della società responsabile della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina; c’è da capire quali siano le reali intenzioni dell’esecutivo, ma se si trattasse di una nuova bolla di sapone ci troveremmo di fronte all’ennesimo spreco di denari pubblici.

Decisamente poco è stato stanziato per la sanità; si sperava in un cambio di rotta dopo la debacle delle strutture ospedaliere, devastate da decisioni di smantellamento maturate durante il ventennio a targa UE-PD. D’altro canto sono note le posizioni su quel che concerne l’uscita della pandemia, specialmente della Lega; c’è da sperare che la marcia indietro che sembra essere stata innestata dall’esecutivo sulle misure di sicurezza e tutela del personale sanitario e dei cittadini non abbiano una ricaduta nefasta nel breve-medio periodo.

Aspettate ed auspicabili le misure a rafforzamento della famiglia, a partire dall’irrobustimento dei bonus bollette e dall’istituzione di una carta di credito di spesa, misure mirate ad aiutare le famiglie dai redditi più bassi.
Aumentato l’assegno unico familiare, con un occhio particolare a quei nuclei familiari con alta natalità; anche questa una misura attesa.

Si poteva fare di più e meglio? Forse. Oggettivamente bisogna riconoscere che in meno di due mesi, con le casse statali in estrema sofferenza dopo la pioggia di sovvenzioni legate alla pandemia prima ed alla crisi energetica poi, con i contestuali provvedimenti bandiera del M5S (superbonus e reddito di cittadinanza) che hanno aggiunto una pressione economica non indifferente, non si poteva chiedere molto altro. Certe misure (condoni a tutti gli effetti) sono offensivi per i cittadini che mirano alla legalità, ma erano cavalli di battaglia di Lega e Forza Italia, e non ci si poteva aspettare che non fossero messe presto in essere.

Questa è una manovra di contenimento, atta a proseguire senza interruzioni la vita del motore economico italiano; tolta la flat tax e quota 103, eventuali veri cambiamenti di rotta li vedremo a fine 2023, quando il Governo Meloni avrà maggiore controllo degli introiti erariali e tempo per approntare quanto necessario.
Per allora non ci saranno più scuse: il governo legge ed ordine chiesto a gran voce dagli italiani dovrà dimostrare quel che vale.

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