Le aule parlamentari vuote sono lo specchio di un assenteismo dilagante per il quale senatori e deputati riescono sempre a non pagare un prezzo.
L’Italia conta 600 parlamentari tra deputati e senatori che, per occuparsi unicamente degli interessi del Paese senza essere corruttibili, guadagnano fino a 15mila euro al mese. Agli stipendi da record si aggiungono un’indennità di legge di 5.000€ e i rimborsi previsti per l’attività parlamentare: dalla diaria (3.500 €) al rimborso spese (3.500€ circa per i deputati e quasi 6.000€ per i senatori), in parte da documentare e in parte forfettarie. In aggiunta ci sono numerosi altri benefit, non quantificabili in denaro, cui ha diritto un parlamentare.
La cosa viene giustificata dalla Costituzione, che recita: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”; ma è proprio in quest’ultima specifica che è da ricercarsi il motivo di un assenteismo cronico e allarmante.
Per legge, la partecipazione alle plenarie sarebbe da intendersi come una mera responsabilità politica dei parlamentari nei confronti del partito che li ha eletti e non del Paese. Il meccanismo è tanto sottile quanto chiaro: per legge, il parlamentare non è direttamente responsabile del suo operato nei confronti dei cittadini ma solo della fazione politica di provenienza, cui risponde anche della sua attività e di eventuali presenze e/o assenze. Ecco il perché di aule deserte.
Eppure una regola c’è, e prevede decurtazioni dallo stipendio proporzionale al numero di assenze in aula; ma c’è una scappatoia. Innanzitutto, per assenza si intende la mancata partecipazione al voto, sia nel caso in cui il parlamentare sia fisicamente assente in aula (e non in missione), sia nel caso in cui sia presente ma si astienga. Ad oggi, i sistemi di verifica di Camera e Senato non consentono di distinguere un caso dall’altro; ne consegue che le plenarie considerate come base di calcolo di eventuali assenze sono solo quelle in cui è prevista la votazione; in aggiunta, per scongiurare decurtazioni di stipendio, è sufficiente la presenza del deputato o senatore solo al 30% delle votazioni previste in una giornata. Il restante 70% delle riunioni è possibile saltarlo senza dover rendere spiegazioni. O, detta in altri termini, lo svolgimento del restante 70% delle attività di voto è rimesso alla responsabilità del singolo.
Inoltre, ogni assenza dovuta alla partecipazione dei parlamentari a missioni è giustificata; basta documentarla dall’interessato al Servizio Assemblea dell’Aula; ovviamente, la documentazione di prova non è soggetta a pubblicazione e questo limita eventuali attività di verifica puntuale circa l’effettiva partecipazione, e questo oltre al fatto che le missioni implicano una vasta gamma di attività di natura più che generica, tra cui lo svolgimento di funzioni istituzionali sotto incarico di Senato e Camera e la partecipazione alle delegazioni delle assemblee internazionali o ai lavori nelle Commissioni.
Il parlamentare assente è poi considerato presente in caso di maternità obbligatoria, congedo di paternità, ricovero ospedaliero, malattia certificata, lutto per un congiunto (3 giorni), assistenza a un familiare invalido (3 giorni al mese), previa autorizzazione del Collegio dei Questori. Infine, come se non bastasse, anche il partito di appartenenza può giustificare i propri parlamentari eletti.
Secondo Openpolis, fondazione che monitora l’attività di deputati e senatori, l’assenza media della legislatura Meloni è del 30,6% a Montecitorio e del 21,6% a Palazzo Madama. Tra gli assenteisti più incalliti figurano Antonino Minardo (Gruppo Misto), Giulio Tremonti (FdI), spessissimo in missione, Guido Castelli (FdI), ma anche Elly Schlein (Pd), Matteo Renzi (Italia Viva) e Carlo Calenda (Azione). Ovviamente tutti assenti giustificati. Non ultimo, il caso (molto discusso) della deputata di Forza Italia Marta Fascina, compagna di Silvio Berlusconi, assente al 92,83% delle votazioni senza alcuna evidenza di partecipazioni a missione. Eppure salva perché «giustificata» l’80,26% delle volte.
Numeri alla mano, non è azzardato definire l’assenteismo una piaga sociale che costa all’Italia migliaia di euro nient’affatto giustificati o giustificabili. Le responsabilità sono condivise e risiedono in un sistema normativo ancestrale unito ad una classe politica avara e deresponsabilizzata. Difatti la Costituzione parla chiaro e, per evitare fraintendimenti, anche i partiti politici intervengono in difesa dei propri candidati. Gli stessi partiti che dovrebbero, al contrario, vigilare sul loro operato piuttosto che giustificarne le assenze tradendo la fiducia degli elettori.