La guerra russo-giapponese del 1904 innesca una crisi profonda che sconvolge la Russia zarista e ne accelera il declino fino alla Grande Guerra.
Tra il 1904 e il 1905 la Russia subisce una cocente sconfitta per mano di un Giappone sempre più espansivo e bellicoso, deciso ad assumersi un ruolo di potenza di primo piano nello scacchiere dell’Estremo Oriente. La guerra – ne abbiamo parlato in questo articolo – mette in evidenza tutte le fragilità della Russia zarista che, partendo da una presunzione di superiorità assoluta, dunque militare, tecnologica e perfino razziale, si ritrova ad incassare delle spettacolari sconfitte.
Il morale della società civile, a dir poco precario ma in qualche modo infervorato nei primi giorni del conflitto, crolla inesorabilmente a picco nei duri mesi del 1904 e 1905. Viene d’un tratto messa a nudo l’arretratezza sia dell’apparato militare e che di quello burocratico russo, rivelando l’incapacità della monarchia assoluta di adattarsi alle esigenze moderne in campo bellico, industriale e sociale.
Già nel dicembre 1914, un importante sciopero blocca la fabbrica Putilov di San Pietroburgo, avviando una serie di scioperi all’interno della maggior parte delle fabbriche della zona tanto da lasciare la città paralizzata e al buio per diverso tempo. Sulla scia di queste manifestazioni, si arriva anche alla tristemente nota “Domenica di sangue” del 1905: le truppe zariste massacrano i manifestanti riuniti sotto il Palazzo D’Inverno; l’evento distrugge la fiducia popolare nello zar e accelera il crollo della sua legittimità. Nicola II si ritrova presto costretto a rispondere con il Manifesto di Ottobre, che promette riforme politiche, la creazione di un parlamento (la Duma) e alcune libertà civili come quella di stampa e di associazione. Tuttavia, queste concessioni si rivelano rapidamente limitate: nel 1906, con le Leggi Fondamentali, lo zar riafferma il proprio potere assoluto, riducendo la Duma a un’istituzione puramente decorativa.
In questo contesto emerge la figura di Pëtr Stolypin, primo ministro tra il 1906 e il 1911, che tenta di stabilizzare il regime attraverso una combinazione di riforme agrarie e dura repressione. La sua politica mira a creare una classe di piccoli proprietari terrieri fedeli al regime, svincolati dalla tradizionale comunità agricola collettiva (il mir), e in grado di garantire ordine e produttività nelle campagne. Ma la riforma agraria ottiene risultati modesti e non riesce a trasformare in profondità la struttura socio-economica della Russia rurale; Stolypin reprime con durezza ogni forma di dissenso, ricorrendo a tribunali militari e impiccagioni sommarie, inimicandosi gran parte del popolo.
Nonostante la repression, l’opposizione rivoluzionaria continua a crescere: i socialrivoluzionari, i menscevichi e i bolscevichi intensificano la loro attività clandestina, alimentati dal malcontento popolare e dalla radicalizzazione delle masse urbane e rurali. Le Dume convocate tra il 1906 e il 1912 vengono poi regolarmente sciolte o manipolate dall’élite zarista, che modifica la legge elettorale per assicurarsi una maggioranza conservatrice.
Dal punto di vista economico, la guerra lascia in eredità una situazione difficile: l’ingente spesa bellica provoca un aumento del debito pubblico e rafforza la dipendenza della Russia dai capitali stranieri, in particolare francesi. L’industria continua a svilupparsi, soprattutto nei settori ferroviario, minerario e metallurgico, ma resta concentrata in poche aree urbane e non è accompagnata da una equilibrata modernizzazione sociale. La classe operaia urbana cresce numericamente, ma vive in condizioni precarie, con salari bassi, lunghi orari di lavoro e scarse tutele, fattori che accrescono il rischio di agitazioni e rivolte. Anche l’esercito, umiliato a Tsushima e in altre battaglie, si mostra debole e male organizzato, e la fiducia nelle gerarchie militari viene seriamente compromessa.
L’assassinio di Stolypin nel 1911 segna la fine di un tentativo, per quanto autoritario, di riforma dall’alto. Negli anni successivi, la Russia entra in una fase di apparente stabilità, ma il regime si irrigidisce: Nicola II, sempre più isolato e influenzato da figure discutibili come Rasputin, rifiuta di proseguire sulla strada delle riforme e concentra il potere nelle proprie mani. La Duma continua a funzionare come strumento controllato e inefficace, mentre le forze di opposizione, pur represse, si rafforzano e si preparano a nuove occasioni per insorgere.
Il clima che precede la Prima Guerra Mondiale è proprio quello di una calma apparente: sotto la superficie di un ordine imposto con la forza, si nasconde una società profondamente divisa, con tensioni sociali, economiche e politiche pronte a esplodere. La guerra del 1914 trova la Russia in una condizione di fragilità strutturale: il sistema zarista non ha saputo rispondere efficacemente alla lezione del 1905, limitandosi a contenere le spinte rivoluzionarie con la repressione e a mantenere in piedi un ordine tanto antiquato quanto inefficiente. La sconfitta contro il Giappone accelera la perdita di fiducia nel potere imperiale, attiva dinamiche rivoluzionarie che si radicalizzano negli anni successivi e prepara il terreno per i drammatici e tumultuosi eventi del 1917.