Continuiamo il racconto della storia degli azzurri nella competizione continentale per nazioni; riviviamo gli anni più recenti, avari di soddisfazioni.
Dopo le delusioni degli anni precedenti, la federazione decise di affidarsi ad un tecnico atipico: non un uomo di Coverciano, ma un allenatore che con i club aveva costruito la sua fortuna ed aveva cambiato il modo di intendere il calcio in Italia e nel resto d’Europa. Arrigo Sacchi sedette sulla panchina azzurra per portare la squadra ai mondiali statunitensi, arrivando ad un passo dalla meta dopo una serie di incomprensioni antecedenti la manifestazione che avrebbero potuto portare la sua avventura ad una prematura fine. Nell’europeo del 1996 invece il C.T. di Fusignano era ancora alla guida della squadra, che partiva come grande favorita in quanto vicecampione del mondo. Le cose non andarono subito bene, ed il girone di qualificazione fu molto meno agevole del previsto, malgrado fosse composto esclusivamente da nazionali (a parte l’Italia, ovviamente) che nella precedente edizione neanche esistevano. Dunque, l’Unione Sovietica non poteva più esserci, e la neonata nazionale della Russia non presentò alcun problema all’esordio nella fase finale. Tuttavia, le altre due avversarie sarebbero state le due finaliste del torneo, e rappresentavano un ostacolo alquanto ostico. La Repubblica Ceca ebbe la meglio nel secondo match, ed il terzo e decisivo incontro poneva di fronte la Germania, accolta con un certo entusiasmo dai tifosi scaramantici. Questa volta invece, le parate di Koepke (compresa quella su un rigore calciato da Zola) e la solidità tedesca inchiodarono il punteggio sullo zero a zero, malgrado la superiorità numerica degli uomini di Sacchi nell’ultima mezz’ora di gioco.
Fallito l’esperimento tecnico, si tornò all’antico con due uomini di fiducia: Cesare Maldini, già vice ai mondiali dell’82 e rimasto sulla panchina solo il tempo di una spedizione francese piuttosto deludente, e soprattutto Dino Zoff, che in quei mondiali fu capitano e guida spirituale dello spogliatoio. Suo il compito di avviare una generazione brillante e di grandissima prospettiva, e nel frattempo di portare qualche buon risultato per invertire una tendenza che iniziava a farsi preoccupante. Dopo un cammino nelle qualificazioni messo subito in discesa con 4 vittorie consecutive e lasciando gli avversari a litigarsi il secondo posto, l’ex portiere perse il suo erede designato Buffon per un infortunio alla mano, ma vide il suo gruppo crescere in unità e affiatamento, fino a superare di slancio le prime 3 partite del girone contro Turchia, Belgio e Svezia, ed i quarti di finale contro la Romania. La definitiva prova di maturità arrivò in semifinale: i Paesi Bassi, padroni di casa, rappresentavano una sfida non da poco, complicata quasi subito dall’espulsione di Zambrotta. Ma la partita diventò una girandola di emozioni, e gli azzurri resistettero eroicamente soprattutto grazie al portiere Francesco Toldo, convocato come riserva e trovatosi a parare ben due rigori durante la semifinale. La sua prestazione assumerà contorni mitologici quando, preservata la parità fino al 120°, farà passare solo uno dei quattro rigori olandesi nella lotteria decisiva, regalando ai suoi la finale. Da ricordare anche uno dei tiri dagli undici metri più famosi della storia, calciato da Totti con il classico scavetto. Le premesse per vincere ancora la coppa dopo 32 anni c’erano tutte, e il vantaggio iniziale di Delvecchio sembrò il preludio ad una festa. Ma il pareggio di Wiltord quasi allo scadere portò la contesa ai tempi supplementari, dove una delle regole più controverse della storia del calcio – il famigerato golden goal – consegnò il trofeo alla Francia, che due anni prima aveva vinto anche il mondiale casalingo eliminando tra le altre anche l’Italia.
Quella sconfitta così bruciante sarebbe stato solo il primo di una serie di rospi da ingoiare negli anni a venire: dopo le dimissioni di Zoff fra aspre polemiche, l’inarrivabile Giovanni Trapattoni si fece carico del lavoro fin lì svolto e portò la squadra ai mondiali di Corea e Giappone, dove i sudcoreani la eliminarono in una partita tuttora oggetto di dibattiti per un arbitraggio particolarmente lacunoso. E ancora: un girone di qualificazione agli europei del 2004 apparentemente semplice si mise subito in salita dopo l’inaspettata sconfitta in casa del Galles, che finirà per complicarsi da solo la vita e verrà sconfitto per 4 a 0 nella partita di ritorno. Il Trap restò a lungo sulla graticola, ma tenne duro come da sua abitudine e cercò di preparare al meglio la spedizione in Portogallo, dove l’urna del sorteggio presentò un girone con Danimarca, Svezia e Bulgaria. L’inizio drammatico, che nelle storie azzurre non sembra mai mancare, fu un pareggio a reti bianche contro i danesi, accusati di un gioco piuttosto duro e provocatorio che portò ad una reazione spropositata dell’uomo di punta, Francesco Totti. Il capitano della Roma venne inquadrato dalle telecamere in una reazione poco elegante nei confronti di un avversario, che gli costò una lunga squalifica e di conseguenza lo mise fuori gioco per il resto del torneo. Le cose non migliorarono contro la Svezia dell’astro nascente Ibrahimovic, che recuperò lo svantaggio dei suoi con un colpo di tacco che sembrò sfidare le leggi della fisica allo scadere, colpo che diventerà uno dei suoi più celebri nel resto della sua carriera. Era comunque evidente che qualcosa non andasse bene, e la vittoria nell’ultimo match contro la Bulgaria, arrivata in pieno recupero con un solo goal di scarto, permise alle due nordeuropee di accontentarsi di un pareggio che le avrebbe qualificate entrambe, eliminando gli azzurri tra la rabbia per quel risultato fin troppo conveniente e lo sconforto di aver gettato un’ottima occasione per redimersi dopo le delusioni asiatiche.
Con una mossa simile a quella di dieci anni prima, la nazionale si rivolse ad un tecnico dal recente passato vincente nei club, Marcello Lippi. Si rivelerà una scelta perfetta, riportando in Italia la coppa del mondo dopo un digiuno di 24 anni, ma il viareggino tornerà subito dopo a sedersi sulla panchina della Juventus, e tra lo stupore generale e diversi interrogativi degli addetti ai lavori, gli succedette Roberto Donadoni. L’ex ala del Milan aveva ben figurato alla guida del Livorno, ma non aveva un curriculum tale da renderlo uno dei favoriti per l’incarico. Gli esordi non furono incoraggianti: le qualificazioni europee conobbero momenti di grande incertezza, specie in un’esotica trasferta alle isole Fær Øer dove i padroni di casa (quasi tutti con contratti dilettantistici) rischiarono di pareggiare quella che sulla carta doveva essere una partita già decisa. La rivale del girone, quella Francia che venne battuta nella precedente finale della coppa del mondo, non seppe comunque fare molto meglio, lasciando strada per la qualificazione ad Euro 2008. Il sorteggio pose quindi le due squadre anche nello stesso gruppo della manifestazione, e la gara di esordio fu terribile per entrambe: uno scialbo pareggio per i transalpini, una sconfitta senza appello per gli uomini di Donadoni contro gli olandesi, che sembravano aver trovato lo smalto perduto e si sarebbero confermati maltrattando anche Henry e soci. La selezione italiana dovette invece soffrire con la Romania, che passò in vantaggio con Mutu ma venne raggiunta dopo solo un minuto da Panucci, il terzino che aveva segnato anche il gol decisivo nelle qualificazioni e che nell’era Lippi era stato accantonato. In una partita sul filo del rasoio, Buffon mantenne il pareggio parando un rigore a Mutu e rese decisiva l’ultima partita. La nazionale si sbarazzò della Francia con apparente facilità, ma la speranza di aver trovato la quadratura si spense agli ottavi di finale pochi giorni dopo, dove la Spagna, futura dominatrice del calcio mondiale, ebbe la meglio ai rigori dopo uno zero a zero in cui L’Italia fece il possibile per restare in gara senza però dare mai l’impressione di poter vincere.
Una singolare clausola nel contratto di Donadoni prevedeva il rinnovo automatico in caso di raggiunta delle semifinali all’europeo, ma dal momento che così non fu venne richiamato sulla panchina Lippi, giusto in tempo per un mondiale finito prima di cominciare. Subentrò quindi Cesare Prandelli, che decise di optare per il nuovo corso convocando dei giocatori di talento e spesso anche di temperamento. Il girone di qualificazione, concluso senza sconfitte e senza mai avere reali problemi contro avversarie di minor spessore, verrà ricordato soprattutto per un clamoroso episodio di violenza avvenuto a Genova, quando gli ultras ospiti ingaggiarono una guerriglia che rese impossibile continuare il gioco. La sorte affiancò subito la Spagna campione in carica insieme alle insidiose Croazia ed Irlanda, ma la nazionale tenne bene il campo contro le furie rosse andando anche in vantaggio con Di Natale, per poi essere raggiunta in soli due minuti. Dopo il pareggio con i croati, la vittoria sugli irlandesi, firmata dai talentuosissimi e fumantini Cassano e Balotelli, valse il passaggio del turno. La successiva partita contro l’Inghilterra fu un ottimo biglietto da visita per le reali potenzialità azzurre: solo due legni, un gol annullato ed alcune parate di Hart portarono la sfida ai calci di rigore, dove un altro scavetto (questa volta di Pirlo) e una parata decisiva di Buffon condussero all’ennesimo Italia – Germania. Mario Balotelli, uno dei giocatori più controversi del nostro calcio, demolì con una mezz’ora impressionante i tedeschi, segnando due goal bellissimi, sfoggiando un’esultanza rimasta iconica negli anni (rimase a torso nudo, completamente immobile, a mostrare i muscoli in mezzo al campo) e diede l’idea che quella sera il risultato non sarebbe mai cambiato. Dodici anni dopo era ancora finale, ancora contro la squadra campione del mondo, questa volta la Spagna. I media si dimostrarono fiduciosi alla luce del risultato della gara di esordio, ma gli spagnoli annichilirono la nazionale di Prandelli con un 4 a 0 che non lasciò molto spazio a recriminazioni.
Il mister se ne andò dopo un mondiale da dimenticare, dopo il quale venne chiamato l’uomo nuovo della panchina italiana, Antonio Conte. Reduce da grandi successi con la Juventus ma anche ammantato di polemiche per una sponsorizzazione particolarmente ricca ed il coinvolgimento, seppur marginale, in un processo sul calcioscommesse, Conte seppe subito creare un ambiente dinamico ed esigente, arrivando a scontrarsi con le dirigenze per reclamare maggior spazio al suo lavoro. I giocatori risposero bene: dimenticati gli elementi di talento ma difficili da gestire, vennero invece chiamati uomini meno avvezzi a vestire la maglia della nazionale ma più funzionali al gioco, ulteriore conferma di una gestione più simile a quella di una squadra di club. Le qualificazioni furono positive nel resoconto finale, anche se il lungo periodo di rodaggio preteso dalla nuova impostazione portò a vittorie striminzite contro avversarie non in lotta per l’approdo ad Euro 2016. Ma, una volta giunta in Francia, la squadra cambiò decisamente passo: contro un Belgio in rampa di lancio arrivò una netta vittoria, bissata pochi giorni dopo contro gli svedesi. La vittoria del girone dopo sole due partite fu accolta con sorpresa, specialmente perché costruita su uomini quali Giaccherini, Eder e Pellè, generalmente lontani dal centro dei riflettori e perfettamente incastrati nei meccanismi del tecnico pugliese. L’ultimo, in particolare, vivrà l’apice della sua carriera in quell’estate francese, dove contribuirà alla rivincita contro la Spagna negli ottavi di finale, ma diventerà uno dei quattro rigoristi ipnotizzati dal portiere Neuer nei quarti, fermando contro la Germania (avversario solitamente di buon auspicio) la cavalcata di una compagine che non brillò per qualità dei singoli, ma seppe regalare alla propria nazione un europeo giocato decisamente sopra le righe e mai in condizioni di inferiorità, lasciando quasi il dubbio che con maggiore fortuna dal dischetto sarebbe potuta arrivare molto avanti.
La storia dei campionati europei è stata dunque densa di avvenimenti per quanto riguarda la nazionale italiana, cartina tornasole della qualità degli organici a disposizione nei vari cicli e del lavoro dei C.T., che quasi mai hanno dichiarato di averli come obiettivo principale ma ne sono rimasti anche scottati nelle spedizioni meno riuscite. Ancor di più, hanno regalato giocate sorprendenti, lampi di classe, marchi di fabbrica di grandi campioni ed estati in cui i tifosi hanno potuto seguire gli azzurri mentre puntavano ad un trofeo di grande prestigio, centrandolo una sola volta ma andando più volte vicini alla replica.