Giulia Galtarossa solleva il caso delle vessazioni nella ginnastica

A seguito dell’intervista rilasciata dalla campionessa italiana di ginnastica artistica, si accende la polemica sull’esasperazione di alcuni sport agonistici.

 

 

La due volte campionessa del mondo Giulia Galtarossa ha rilasciato inquietanti dichiarazioni che denunciano maltrattamenti da lei subiti durante la sua carriera agonistica di ginnasta, dichiarazioni pesanti che denunciano un clima di pressione psicologica ancora oggi presenti in alcuni ambienti della federazione di ginnastica italiana.
Giulia dichiara che il periodo che ha trascorso nell’accademia di Desio, commissariata in questi giorni, è stato terribile, e le due medaglie conquistate nel 2009 e nel 2010 non giustificano i soprusi e le violenze psicologiche alla quale fu sottoposta negli anni della Nazionale.

La reazione del mondo sportivo è stata immediata: il presidente del CONI Malagò ha convocato una riunione urgente alla presenza del nuovo ministro dello sport Abodi e del presidente della federazione ginnastica Tecchi. Unanime la condanna, unanime la solidarietà, comune l’intento di cambiare le cose; soprattutto Tecchi si è impegnato in una futura azione di rinnovamento dell’ambiente della ginnastica Azzurra, annunciando corsi di formazione pedagogica e psicologica obbligatori per i tecnici federali. Netta la sua posizione: “non si può andare avanti così”.

Trattandosi di sport, in seguito, tutti si sono sentiti in dovere di esprimere giudizi; un popolo di Presidenti del Consiglio e di allenatori non poteva esimersi dal riversare su tutti i social i più disparati giudizi, tutti accomunati da una generale euforia pedagogica. Tutti allineati e determinati nella condanna, tutti uniti nel proporre equilibrati interventi educativi, trasformazioni sociologiche e regole di comportamento. Nessuno ha tenuto conto sufficientemente di un aspetto fondamentale della vicenda: qui si parla di sport agonistico estremo.

Si, secondo me la ginnastica è uno sport estremo. Come tutti gli altri sport estremi vi troviamo grande pericolosità, grandi sacrifici richiesti, totale dedizione, accettazione dei rischi. Nella ginnastica ci troviamo a che fare con giovani atlete che devono raggiungere rapidamente la maturità tecnica e psicologica imprigionate in corpi da bambine; allenamenti estenuanti, grandi privazioni affettive, tante conseguenze fisiche e psicologiche. Chi sceglie questi sport sa a cosa va incontro e lo sanno anche le famiglie.

Questo non giustifica comportamenti scorretti ma individua un contesto difficile da capire e difficile da gestire al suo interno. Vivere in accademia, non avere rapporti sociali al di fuori della squadra, massacrarsi di fatica, sopportare grandi pressioni psicologiche porta necessariamente le atlete in uno stato di sofferenza. Se non soffri non hai fame, se non hai fame non vinci. Sono concetti sportivi antichi ma molto attuali negli sport estremi. Gestire ed allenare le atlete in queste condizioni diventa molto difficile e sbagliare è facile.

Tenere delle giovani adolescenti sotto il giogo della bilancia e spingerle al limite delle loro possibilità fisiche e mentali porta qualcuno ad eccedere; io per primo da docente e sportivo ho sempre combattuto lo sport esasperato, ma lo comprendo. Pietro Mennea, il nostro indimenticabile velocista, per raggiungere certi risultati si è massacrato di lavoro, sottoponendosi ad allenamenti al limite delle possibilità umane.

 

 

Per raggiungere il vertice in alcune discipline non ci sono altre strade e le conseguenze sulla psiche e sul fisico sono da mettere in conto. Si auspica che in futuro i tecnici della ginnastica saranno più preparati a gestire le giovani menti delle proprie atlete, ma la ricerca del risultato porterà sempre a non mollare la pressione e a chiedere sempre la totale abnegazione.
Tutti concordiamo sul fatto che lo sport va inteso come grande opportunità di crescita, ma quando si parla di agonismo cambiano i parametri e lo sport si trasforma in ricerca di grandi emozioni, uniche ed irripetibili, espressione di una grande passione interiore; e la passione, in tutti i campi, porta a perdere a volte il contatto con la realtà.

Come tecnico sportivo ho sempre sostenuto lo sport universitario, fatto di allenamenti sostenibili e tanto divertimento, conciliato con lo studio e la sana vita privata. Ma quando parliamo di sport che portano il corpo umano ai suoi limiti fisici mi rendo conto che di divertimento e altro spazio ne rimane veramente poco. Giulia ha sofferto, ha vinto, ha raggiunto i suoi obiettivi, ma poi ha pagato le conseguenze di una vita al limite.
Una riforma culturale della formazione dei futuri tecnici è sicuramente necessaria; gli strumenti ci sono, ma dobbiamo stare molto attenti a non cadere nella trappola che sta portando molti settori della società ad evitare il rischio, trasformando alcune professioni in semplici applicazioni di regolamenti: le denunce e le cause civili e penali hanno portato all’abbandono del rischio da parte di categorie importanti come medici, poliziotti, insegnanti, politici. Non vorrei che a fronte di una eccessiva attenzione mediatica molti tecnici sportivi optassero per la rinuncia, per l’abbassamento dei parametri, per l’allineamento al politicamente corretto esasperato, perdendo così spinta, vigore e sana ambizione alla vittoria.

 

 

Giulia, siamo tutti con te, ma anche con chi ogni giorno deve fare un lavoro molto difficile, spesso mal pagato e non riconosciuto, in ambienti non idonei e con la non più condivisa complicità di chi punta al vertice, mettendo in gioco tutto, consapevolmente. Cristina Cimino, campionessa di ginnastica degli anni ottanta, intervistata recentemente su Rai News 24, ha dichiarato che la sua carriera agonistica è stata dura e senza sconti, ma mai nessuno ha esercitato violenza psicologica su lei o le sue compagne; ora allena la figlia.

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