Storia del nucleare in Italia – seconda parte

Dalla prima centrale inlgese nel 1956 alle oltre 400 attive oggi nel mondo; riusciremo mai anche volendo a eliminare queste bombe a orologeria innescate?

 

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In questa seconda parte analizzeremo un po’ più in profondità la vita delle nostre quattro centrali.

Come accennato nella prima parte dell’articolo, la corsa al nucleare in Italia fu piuttosto rapida e portò il nostro paese ad essere all’avanguardia già nei primi anni ’60. D’altronde negli anni di quello che fu definito “il miracolo economico”, per effetto del crescente costo del petrolio imposto dalla crisi di Suez e dalla mancanza di un piano nazionale energetico, si aprì una grande sfida.

Questa venne raccolta da una serie di aziende private ed enti a partecipazione statale, mentre la ricerca fu affidata al CNR guidata all’epoca dall’Ingegner Felice Ippolito, figura controversa e contestata dalla politica che come sempre intendeva spingere la gestione del nucleare in una lotta che vedeva attori del calibro della nascente Enel a sfavore della Edison e di altri gestori privati.
La principale corrente politica che avversava Ippolito era la Democrazia Cristiana soprattutto nella figura di Giuseppe Saragat, che fu il primo a sollevare sospetti di tangenti sugli appalti di alcune opere, financo ad osteggiare apertamente la produzione di energia nucleare supportato da dati non privi di fondamento.

 

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Egli sosteneva che i costi di realizzazione di importanti opere ma soprattutto il reperimento e la trasformazione dell’uranio pesavano in maniera enorme sui costi di produzione dell’energia a tal punto da farla costare il doppio rispetto all’idroelettrico ed ai combustibili fossili.
Veramente già allora Saragat, poi divenuto il 5° Presidente della Repubblica, aveva capito che la direzione presa era antieconomica oltrechè rischiosa? O come sempre di mezzo c’erano interessi legati alla gestione dei tantissimi soldi che vi ruotavano intorno?

I processi come quello che vide condannare appunto l’Ingegner Ippolito ad 11 anni in primo grado sono stati già celebrati, quindi vediamo di fare un po’ di chiarezza su altri aspetti su cui ritengo ci sia un informazione non sempre di facile lettura per chi è profano dell’argomento o scarsamente documentata, ponendoci alcune domande a cui cercheremo in maniera semplice e comprensibile di dare risposta:
Se avessimo continuato col nucleare avremmo pagato veramente molto meno l’energia?
Rinunciando a questa tecnologia sul nostro territorio abbiamo veramente eliminato i rischi di un disastro?
E, infine, la principale domanda di questo articolo: abbiamo veramente eliminato il nucleare da casa nostra?

Andiamo per ordine e vediamo qual è la percentuale di energia prodotta in Europa con le centrali nucleari e quanto costa al kWh.

Il primato nel nostro continente spetta alla Francia, con ben 58 reattori ancori ancora attivi che soddisfano oltre il 70% del fabbisogno nazionale, seguita dalla Russia con 36, Ucraina e Gran Bretagna con 15, Svezia 10, Germania 8, Spagna e Belgio 7, Svizzera 5, Finlandia Ungheria e Slovacchia 4, Bulgaria e Romania 2, Slovenia e Olanda 1, per un totale di ben 185 di cui 128 in paesi appartenenti all’Unione Europea, tutti di II° generazione (dati AIEA 2016).

Ed i costi? Il grafico sottostante ci illustra come l’Eurostat nella seconda metà del 2019 ci chiarisce che non è vero l’assioma nucleare/costo basso, almeno per ciò che riguarda i consumi residenziali, tanto che lo stesso istituto di statistica stima che il costo medio per kWh è di ben 0,297 € per la Germania, contro i 0,241 dell’Italia. Ma come??? Ci sono ben 8 centrali nucleari e l’elettricità costa di più?

 

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In realtà il costo della materia prima è quasi uguale al nostro così come per la Francia, ma a pesare sul conto finale rispetto ai nostri cugini d’oltralpe ci sono il 38% di tasse, come per la Germania dove tassazione, costo di trasporto e distribuzione incidono in maniera pesantissima.
Quindi per riassumere se applicassimo in Italia le tariffe Francesi pagheremmo circa 60/80 € in meno all’anno mentre applicando quelle Spagnole circa 100 € in più, per arrivare ai 300 € della Germania. Ovviamente sono valori indicativi, che non possono essere considerati validi ad esempio per le industrie, dove sicuramente i costi sono maggiori nel nostro paese rispetto a quelli che continuano ad avvalersi del nucleare.

Possiamo dire con una certa sicurezza che no, continuare a produrre energia elettrica con le centrali nucleari non ci avrebbe dato un grosso beneficio a livello di costi, anche perché veramente è credibile che nel computo totale dei costi di produzione si riesca a calcolare e spalmare le cifre da capogiro per trattare i rifiuti, smantellare e bonificare i siti?

Sapete di quanto si parla? Diamo qualche cifra. Nei primi anni del 2000 viene data dalla Sogin un tabella di marcia ben precisa: entro il 2020 eliminazione e trattamento di rifiuti e scorie e smantellamento degli impianti, 4,5 miliardi di euro. Ma nel 2013 il tutto slitta al 2025 e la cifra sale a 6,48 miliardi; nel 2017 il nuovo CDA partorisce un nuovo piano che sposta il tutto al 2036 e aggiorna la cifra a 7,2 miliardi. Dal 2001 ad oggi sono stati spesi 3,7 miliardi, di cui però solo 700 milioni per lo smantellamento; il resto (1,8 miliardi) è andato per la gestione dei siti, sicurezza e personale addetto, e i rimanenti 1,2 miliardi alla Francia ed alla Gran Bretagna per il riprocessamento del combustile. Ma la domanda nasce spontanea: chi sta pagando questi costi? Semplice, noi, noi tutti nella nostra bolletta della corrente paghiamo una quota di questo vecchio e oneroso fardello.

 

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Nella terza ed ultima parte valuteremo se esistono ancora rischi o se veramente possiamo ritenere questo capitolo della nostra storia un lontano ricordo; difficile credere che all’inizio di questa ambiziosa avventura fosse possibile anche lontanamente immaginare l’eredità che avremmo lasciato alle generazioni future.

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