Il modello del Credito Sociale della Cina di Xi Jinping: un prototipo di successo o un’arma di repressione?
“Per mettere il mondo in ordine, dobbiamo mettere la nazione in ordine. Per mettere la nazione in ordine, dobbiamo mettere la famiglia in ordine […]“.
In questa massima di Confucio è racchiusa tutta la fenomenologia politica della Cina di Xi Jinping, dalla ricerca pseudo-ossessiva del controllo, alla declinazione del paradigma gerarchico in contesti sociali, economici e politici.
La miscela messa a punto da Xi, fatta di morale confuciana, economia di mercato, espansionismo neocolonialista, e di investimenti nello sviluppo di un forte know-how tecnologico avanguardista locale, hanno reso la Cina l’alternativa globale agli Stati Uniti.
Negli ultimi anni la fusione fra questi elementi adoperata dal governo di Pechino gli ha permesso di sviluppare un sistema di controllo sulla popolazione, già ipotizzato negli anni novanta dall’allora presidente Den Xiaoping, chiamato Sistema di Credito Sociale, perfettamente in linea con la matrice culturale del paese, e con le necessità del Partito.
Il Sistema di Credito Sociale, la cui sperimentazione è iniziata già nel 2014 nelle provincie del Jiangsu, Zhejiang e Shanghai, è un sistema che prevede l’assegnazione di un punteggio di merito ad ogni singolo cittadino o azienda cinese, tramite l’elaborazione di dati da varie piattaforme.
Una delle maggiori piattaforme è la National Credit Information Sharing Platform, sviluppata dal dipartimento di Stato della National Development and Reform Commission in collaborazione con numerosi enti pubblici e privati, ed è composta da circa 400 dataset che analizzano, attraverso 537 variabili, attori economici e singoli cittadini.
I dati che vengono presi in considerazioni spaziano dalle informazioni personali (istruzione, fedina penale, occupazione), alle informazioni finanziarie (tasse, prestiti, estratti conto), e provengono da agenzie governative, tribunali, e aziende e compagnie di telecomunicazioni.
All’implementazione della raccolta dati possono partecipare attivamente anche i privati, che possono segnalare comportamenti scorretti incentivando la reale partecipazione del singolo al mantenimento della morale collettiva.
Il meccanismo di autocontrollo permetterebbe quindi al Governo di Pechino di risolvere indirettamente problemi endemici e capillari della società cinese, come la corruzione o i comportamenti fraudolenti, mantenendo comunque la centralità nell’azione attraverso l’assegnazione e il monitoraggio dei punteggi.
Ad oggi manca una vera e propria centralizzazione delle varie piattaforme, ma il progetto politico, il cui manifesto è stato il quattordicesimo “piano quinquennale”, si propone di arrivare proprio a questo entro il 2025.
La valenza pragmatica del progetto cinese non deve tuttavia nascondere la portata trascendentale di questo progetto in cui il merito, prima di essere un punteggio, è una virtù da perseguire per sé stessi in funzione dell’armonia collettiva.
La nomenclatura politica e le testate giornalistiche occidentali hanno sin da subito bollato come orwelliano (l’autore più nominato e, al contempo, mal interpretato del momento) e distopico il programma cinese, accusando Pechino di volere facilitare la totale repressione e alienazione dell’opposizione politica.
È ovviamente innegabile che questo strumento permetterebbe a Pechino di evitare molto prima che accadano, e che quindi vengano resi pubblici, episodi di dissidenza sociale e politica come i fatti di Hong Kong; la città del “Porto Profumato” però meriterebbe un capitolo a parte, e non può essere presa come scenario di ipotesi, data la moltitudine di variabili che ne condizionano l’essenza stessa.
Sicuramente è un modello lontano dal nostro paradigma di riferimento politico, e di conseguenza non riusciamo a comprendere un sistema che predilige una parziale cessazione della propria individualità per un fine sociale collettivo. Tuttavia, non comprendendolo, non credo che possiamo pretendere di avere gli strumenti per giudicarlo con tanta arroganza.
Il gradimento della popolazione cinese per il progetto del Sistema di Credito Sociale che trapela dalle ricerche della Libera Università di Berlino abbraccia varie fasce di popolazione; sorprendentemente i dati fanno emergere una netta approvazione sopratutto da parte della giovane élite iper scolarizzata delle grandi città, ovvero il nucleo della popolazione cinese che più di tutti dovrebbe essere orientato verso gli standard di vita occidentali, data la moltitudine di contatti ed aperture con l’esterno che ha investito questa generazione.
Forse è il momento di deporre le armi finemente occidentalizzate della diffidenza e della superbia, e considerare il progetto cinese come un prototipo da studiare oggettivamente per progredire, e non un capro espiatorio che faccia risaltare lo sbiadito astro del neoliberismo.