Prendi il film culto Il Padre Della Sposa e inzuppalo di sangue e mistero. Avrai una serie innovativa da vedere a luce spenta.
Che questo titolo sia disponibile su Disney Plus potrebbe anche stranire, considerato il plot noir, ma la verità è che da anni la multinazionale americana sta cercando di differenziare i suoi linguaggi con alterni successi. In questo caso gira tutto alla grande (come già raccontato dal nostro caro MarcoF nella sua recensione) e la maggior parte del merito è della coppia Steve Martin/Martin Short, che gode di ottima salute nonostante sia passato molto tempo da quel ciak. Adesso sembrano una specie di Sandra e Raimondo di Manhattan con una spruzzata di gay friendly (Oliver è etero come Cicciolina è vergine) e il supporto di un’ispirata Selena Gomez. Di che si parla?
A linee generali è un lavoro sulla solitudine e sul bisogno di farsi aiutare ma, entrando nello specifico, è l’intreccio di tre persone ai margini della vita (ovviamente per ragioni diverse) che riscoprono la passione grazie ad un omicidio nel loro palazzo. La location non è un condominio qualsiasi della Tuscolana inoltrata, ma lo sciccosissimo Arconia, nel cuore dell’Upper West Side di New York City, dove vivono personaggi del calibro di Sting (coinvolto per davvero nelle riprese). Nella serie ci sono alcune idee forti.
La prima è che la vittima sia uno stronzo. Tim Kono non piaceva a nessuno ed era scortese ai livelli di Giuseppe Cruciani nella Zanzara. Eppure un morto merita sempre una verità, verità che i tre improvvisati detective ricercano affannosamente immortalando i loro (scarsi) progressi in un podcast in stile true crime. E qua c’è la seconda felice intuizione.
Nei 10 episodi da circa mezz’ora l’uno si racconta l’alba di un nuovo media. Da noi se ne inizia timidamente a parlare ma oltre oceano il podcast è, a tutti gli effetti, una forma d’intrattenimento adorata da chi vive imbottigliato nel traffico o a piedi da un blocco all’altro. E dalle ceneri di una radio anni venti un po’ rammodernata riprendono vigore uno sfigato attore che ha avuto successo (secoli fa) solo con un personaggio, un regista teatrale pieno di flop e una ragazza… interrotta. I personaggi minori sono fantastici e nevrotici, al limite del primo Woody Allen. E qua regge la lunghezza.
Perché non ci si stancherebbe mai del cinismo di questi ricchi newyorkesi che scavalcano una persona svenuta a terra quasi annoiati, che si sussurrano cattiverie micidiali alle spalle e che usano le riunioni di condominio come terapie di gruppo (da noi sembrano piuttosto lenti suicidi). Non puoi smettere perché devi sapere chi ha ammazzato Tim Kono proprio come dovevi sapere chi aveva fatto fuori Laura Palmer negli anni novanta. Ma qua non c’è sesso morboso (ma ce lo vedete Steve Martin a trombare?), non ci sono droghe potenti né riti satanici.
È semplicemente la morte come enorme seccatura per le fitte agende degli impegnatissimi inquilini dell’Arcadia e come passatempo per gli annoiati protagonisti. Il finale (no spoiler) è un vero colpo di scena e il contro-finale lo è ancor di più.
Se vi ha fatto ridere il “matriagio” organizzato da Fronk, impazzirete all’idea che si possa vivere mangiando solo salse. Non siamo forse andati così oltre da aver buttato l’hamburger per tenere solo il ketchup? Tutti promossi alla seconda stagione.