Amazon é una piattaforma che tutti utilizziamo per la sua economicità e la praticità; ma ci siamo chiesti a quale prezzo otteniamo questo servizio, a prima vista imbattibile?
Alzi la mano chi di noi non ha mai fatto un acquisto su Amazon; la risposta é ovvia. Amazon offre prezzi solitamente competitivi e un sistema di consegne abbastanza comodo, tanto da incentivare l’acquisto online. I vantaggi sono evidenti: niente perdite di tempo a fare la fila in macchina o cercare parcheggio, non avere una selezione limitata di prodotti fra cui valutare l’acquisto, prezzi mediamente inferiori.
Sembra tutto perfetto, ma non é così, perchè la perfezione non é di questo mondo.
Chiunque non sia completamente all’oscuro delle meccaniche che regolano il mondo economico, sa bene che il prezzo di un bene é deciso da alcuni fattori come la domanda, l’offerta, il prezzo di realizzazione del bene e di gestione dell’attività commerciale (ce ne sono molti altri, ma a noi possono bastare questi). Su Amazon i prezzi sono più bassi perchè i costi di gestione sono abbattuti: nessun negozio fisico equivale ad azzerare i costi delle utenze elettriche e di manutenzione, come quelli legati alle norme di sicurezza; il costo del personale viene fortemente abbattuto, non dovendo assistere al dettaglio il cliente. I costi di magazzino possono arrivare ad essere nulli, grazie all’eliminazione dello stock e alla rapidità dei tempi di consegna da produttore a fornitore ed infine al cliente. Tutto questo è molto conveniente per l’acquirente, ma ci sono dei passaggi a cui i più non fanno caso.
Il primo, fortissimo, appunto da fare, é che il sistema di tassazione a cui Amazon si appoggia é completamente sballato. Amazon, pur vendendo localmente, fattura nel paese dove é registrata la sede legale; normalmente si tratta di stati che applicano regimi fiscali estremamente concorrenziali, secondo la teoria che vuole incentivare l’apertura ed il mantenimento di grandi attività commerciali. Non é certo un caso che tutte le sedi europee delle multinazionali del settore (e non solo) si trovino in Irlanda, in Olanda o in Lussemburgo. Questo comporta tre immediati problemi, legati fra di loro: il primo é che lo stato si vede privato di una grossa entrata economica, diminuendo le risorse a disposizione. Il secondo é che le attività fisiche locali subiscono una concorrenza spietata vista la differenza di prezzo che può essere applicata da Amazon, fino ad essere costrette alla chiusura. Il terzo é che la chiusura di queste attività commerciali generano un ulteriore volano negativo per l’economia, togliendo altre risorse allo stato sia sotto forma di altre mancate entrate che di assistenza necessaria per chi si trova disoccupato (principalmente i dipendenti, ma anche i titolari di piccole imprese fallite).
La crisi economica dell’ultimo decennio, gestita pessimamente sia a livello sia europeo che italiano, ha portato alla chiusura di moltissime attività, strozzate da tasse, banche e concorrenza sleale. Tutte queste persone, che fine hanno fatto?
Ad Amazon si lavora come schiavi. Non é di molte settimane fa la notizia dello sciopero dei pochi lavoratori italiani sotto contratto a tempo indeterminato, che hanno evidenziato orari massacranti e la mancanza delle più basilari norme di tutela del lavoratore; i temporanei, come é facile immaginare, non hanno preso parte allo sciopero temendo ritorsioni da parte dell’azienda. Dello sciopero dei corrieri di Amazon si è parlato pochissimo, ma intanto anche all’estero si sciopera; in Germania come in altre sedi europee. Ed é notizia di ieri la scelta della stessa Amazon di versare 100 milioni di Euro allo stato italiano come “risarcimento” per il mancato versamento di tasse nel periodo 2011-2015 (sia chiaro, in realtà il mancato versamento è molto superiore).
E come se non bastasse, spesso i negozi virtuali sono i primi a cercare l’evasione fiscale, tanto da arrivare ad accampare qualsiasi scusa pur di non fornire un documento fiscale in seguito all’acquisto; a me è già successo un paio di volte, e l’alternativa ad arrendersi è sporgere denuncia alla Guardia di Finanza, con tutte le beghe che ne conseguono.
Questo è il modello del mercato low-cost. Ryan Air, nel campo dell’aviazione civile, é la perfetta analogia di un’azienda che specula su dipendenti e utenti, ricavando profitti con pratiche commerciali e contrattuali sempre sul filo dello scorretto (inteso come illegale).
Anche se qualcosa si sta muovendo, la forte complicità dei governi nazionali impedisce l’implementazione di norme e regole che prevengano e puniscano severamente queste pratiche. Il problema è noto da tempo, ma solo negli ultimi mesi il governo italiano ha finalmente preso azione, dietro pressioni dettate dall’evidenza dei fatti.
Io se posso su Amazon non compro più nulla. Dico “se posso” perchè spesso gli articoli che cerco si trovano solo là, ma quando ho la possibilità di comprarli dal negozio sotto casa é là che vado, anche se pago qualcosa di più. Acquistare da Amazon, come dai vari negozi online, significa distruggere il piccolo commercio, ed il valore aggiunto che può dare il negoziante di zona: il consiglio, l’assistenza, il supporto, ed un rapporto umano che di certo non si può ottenere con una chat. E soprattutto, cerco di evitare di creare nuova disoccupazione.
Amazon, l’emblema dei negozi online, mostra come stiamo perdendo il contatto con la socialità e come l’individualismo abbia preso il sopravvento sulla ragione. Sta a noi comprenderlo ed invertire la rotta, prima che sia veramente troppo tardi.