Non importa chi sarà il nuovo sindaco: non riuscirà a sanare la pessima situazione della raccolta dei rifiuti, frutto di trent’anni di malgoverno.
Roma è una città strana. Spesso indicata come simbolo del malgoverno nazionale, ha come principale colpa quella di ospitare gli organi principali del governo e di essere l’ufficio di collocamento nazionale del centro-sud. Questo ha significato degli anni un aumento incontrollato della popolazione, specialmente a partire dagli anni ’60, con un continuo flusso migratorio che ne ha complicato la vita.
Il processo che ha portato Roma a ospitare oggi tre milioni di abitanti non è assolutamente andato di pari passo con la gestione del territorio e dei servizi. Le casse comunali sono fortemente indebitate e le aziende municipalizzate sono state usate dagli anni ’60 come ufficio di collocamento in cambio di voti. E come se non bastasse, vista la sua funzione iconica, Roma è da decenni terreno di scontro e di sgambetti fra amministrazioni nazionali, regionali e locali di diverso colore.
Roma si è affidata dal 1974 al 2013 alla discarica di Malagrotta, di proprietà di Manlio Cerroni, intorno alla quale i più disparati esponenti polici hanno giocato partite legate a soldi, favori, potere; ed in merito è doveroso ricordare che Manlio Cerroni è stato assolto nel Novembre 2018 dall’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico lillecito di rifiuti.
Il monopolio di fatto che è stata Malagrotta ha però distolto l’attenzione dei politici dalla soluzione a lungo termine: cosa fare con i rifiuti di 3 milioni di persone una volta che la buca di Malagrotta (questo era, una buca) sarebbe stata piena?
Il caos scoppia sotto l’amministrazione Marino, il sindaco di sinistra che il suo stesso schieramento defenestrerà per manifesta incapacità ma anche per aver osato mettere mano a sistemi di potere consolidati nel tempo. È il sindaco Marino infatti a chiudere Malagrotta nel 2013 dopo la proroga concessa nel 2007 da Piero Marrazzo, l’allora presidente di Regione in quota PD; l’anno dopo Cerroni viene arrestato (e poi prociolto in primo grado, come abbiamo visto).
Marino poco dopo impone la raccolta differenziata a Roma; una scelta oggettivamente necessaria per ridurre lo spreco e l’inquinamento, ma senza preparare alcun tipo di infrastruttura specifica o addizionale. Già nelle primissime settimane dopo l’entrata in vigore della nuova raccolta, le periferie e le borgate si trovano sommerse da tonnellate di rifiuti non raccolti per una mancanza di capacità di trattamento del materiale.
Marino dura poco; la sua giunta cade ad Ottobre 2015, ed è Virginia Raggi e la sua arraffazzonata truppa a 5 Stelle a subentrare. Per lei l’obiettivo sarà (e lo è tuttora) una raccolta differenziata mirata a raggiungere lo 0% di materiale misto (cosa semplicemente impossibile, visto che le migliori esperienze mondiali non riescono a scendere sotto il 30%). La Raggi esaspera una raccolta differenziata già in crisi imponendo il porta a porta ad alcune zone periferiche (quelle meno visitate dai turisti).
Il risultato è un disastro annunciato: i secchioni dell’immondizia vengono fatti trasferire dalle strade all’interno dei condomini, forzando palazzine e condomini in buona parte della città a creare dal nulla uno spazio dedicato a posizionare gli anti-estetici ed anti-igienici bidoni. L’AMA (l’azienda dei rifiuti romana) viene scaricata da ogni responsabilità in merito alla gestione ed alla pulizia dei cassonetti e, nei fatti, le viene concesso di nascondere alla vista la continua mancanza di raccolta del materiale.
Ad onor del vero la Raggi è in quel momento sotto assedio da ogni fronte: l’AMA presenta un bilancio in rosso da far impallidire la bandiera sovietica, con mezzi vecchi e poco mantenuti (analogamente a quanto succede per l’ATAC, l’azienda di trasporti capitolina); dopo poche settimane dal suo insediamento viene dato alle fiamme uno dei due soli impianti di trattamento dei rifiuti presenti a Roma; e Zingaretti, il nuovo presidente della Regione (che diventerà a breve segretario del PD) non la agevola in nessun modo nell’individuazione del luogo adatto alla creazione di alcun impianto, dando anzi la sensazione di voler creare una situazione di disagio appositamente per metter e in difficoltà il sindaco.
Che si tratti di discariche, di termovalorizzatori o tritovagliatori, nulla viene realizzato in cinque anni: è solo un montare di polemiche, un continuo rimbalzarsi di responsabilità fra la giunta comunale grillina e quella regionale del PD. È un teatrino infimo come molti dei personaggi che prendono parte allo spettacolino giocato sulla pelle delle persone che intanto continuano a vivere nell’immondizia non raccolta.
Nei mesi e negli anni successivi all’implementazione del porta a porta infatti la situazione non migliora affatto, ed anche se questa si dimostrerà una soluzione fallimentare, non arriverà mai un dietro front ed un ritorno alla normalità per quei quartieri che hanno fatto da pilota e che ancora oggi subiscono quotidianamente fortissimi disagi legati ad igiene e decoro.
Oggi la situazione è semplicemente drammatica. Non esistono impianti di trattamento capaci di assorbire il volume di rifiuti generati dai romani; una parte vengono spediti in Germania dove vanno a creare un vantaggio per il paese ricevente (si fanno pagare per riceverli e ottengono un valore nella loro trasformazione in energia o nuovi materiali). La raccolta spesso non viene effettuata, e fatte salve le zone di pregio, i cittadini si trovano ricorrentemente a dover tenere nelle loro case la plastica o l’indifferenziata anche per settimane. In alcune zone della città non sono presenti cassonetti o secchi per gettare alcun tipo di rifiuto prodotto mentre si è in giro, e sono le stesse dove si è obbligati a mettere i propri bidoncini in orari definiti (ma se il ritiro non avviene si scavalla alla settimana successiva. Ed infine, l’immobilismo in merito alla costruzione di nuovi impianti genera inquietudine ed incertezza nelle zone periferiche, che temono veder sorgere una discarica o un tritovagliatore vicino ad aree abitate.
Pensare che il nuovo sindaco, da solo, possa cambiare la situazione in pochi mesi è impensabile. Prima di tutto occorrono impianti che per essere costruiti avranno bisogno di anni – ammesso e non concesso che si riescano ad individuare rapidamente le zone adatte ad ospitarli. Serve un potenziamento dell’AMA, oggi incapace di gestire le necessità basilari dei cittadini (che comunque non sono esenti da colpe); e non si sa bene con quali soldi, vista la situazione disastrata del suo bilancio. Ma soprattutto serve che i partiti che gestiscono le amministrazioni nazionali, regionali e locali la piantino di farsi una guerra miope e stupida, interessati unicamente a favorire gli amici, a stipulare accordi con la criminalità, a speculare in modo indegno sulla pelle dei cittadini.
Ed è proprio questo lo scoglio più grande ed improbabile da superare. E dovesse arrivare un risultato che allinei i partiti a capo di Regione e Comune, ci sarà da diffidare di ogni soluzione che dovesse rapidamente arrivare e proposta come miracolosa.