I Balilla Andarono A Salò: la recensione

Carlo Mazzantini ricerca le ragioni che hanno spinto tanti giovani a pagare il conto con la Storia tra il ’43 e il ’45.

 

 

Carlo Mazzantini, classe 1925, è stato uno dei migliori interpreti della voce dei vinti della guerra civile italiana; da ragazzo vive infatti sulla sua pelle il triste epilogo della nostra esperienza bellica nel secondo conflitto mondiale. L’8 settembre lo coglie a Roma: in quella data assiste ai tafferugli ed in particolare alla marcia scomposta di un gruppo di soldati sbandati che nel camminare gettano lungo la via le stellette strappate dai baveri; sorpreso e disgustato dal gesto, le raccoglie. Questo è l’evento catartico che innescherà in lui una lunga scia di pensieri e di seguenti azioni che lo indurranno a presentarsi ad un comando tedesco come volontario, quasi a rimediare l’atto disonorevole a cui aveva assistito. Gli eventi lo condurranno poi al nord, nella neonata Repubblica Sociale Italiana, dove, diciassettenne, diviene camicia nera nella Legione “Tagliamento”. I 600 giorni che seguiranno lo segneranno per il resto della vita ed a riprova di questo sono i meravigliosi testi che pubblicherà molti anni dopo.
La sua opera prima è A Cercar La Bella Morte, in cui descrive con grande lucidità la sua esperienza da quando, scappato di casa, tenta di raggiungere il fronte in Sicilia, sino alla prigionia scontata a guerra conclusa.

 

Giovane vedetta, si presume un aviere sul Lago di Como.

 

I Balilla Andarono A Salò, edito da Marsilio nel 1995, è la sua seconda opera, slegata dalla prima, ed ha la sua genesi quando Mazzantini ed i suoi compagni di un tempo si sono cercati per rivivere le esperienze drammatiche vissute assieme. Dai racconti venuti fuori appare chiaro il filo che collega tutte le storie: la loro giovanissima età, tutti ragazzini di cui solo pochi appena maggiorenni. Da qui inizia lo studio dell’autore sui fatti, studio che si concretizza nel libro.
Mazzantini si addentra in una complessa analisi dei veri protagonisti dell’ultima fase della guerra, ovvero non i grandi generali o i Capi di Stato, ma i giovani che combatterono, chi per l’onore a Salò e chi per la libertà alla macchia, su fronti avversi, odiandosi ferocemente. Chi erano questi ragazzi? Cosa li divise e chi li costrinse ad odiarsi? Mazzantini nell’opera risponde a questi interrogativi scoprendo realtà ancora trascurate e svelando aspetti mai affrontati per la malafede di molti e perché ancora oggi troppo scomodi da mettere in chiaro.

 

Al centro, con un fiore nel mitra, è Franco Grechi, dodici anni: scappato di casa si recò al centro reclutamento della Xª MAS dove finse d’essere rimasto orfano e senza dimora per via delle bombe.
Accolto dai Marò, che avranno cura di lui finché potranno, divenne mascotte del Battaglione Barbarigo.

 

Nell’Italia dopo l’8 settembre gli uomini ancora adatti alla guerra dov’erano? La grande maggioranza di questi era internata nei campi di prigionia tedeschi o Alleati; chi ancora poteva prendere le armi erano le classi dei giovani ancora dispensate dallo sforzo bellico. Alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana, a sostenere lo sforzo militare della neonata Guardia Nazionale era un'”armata di adolescenti”, come la definisce Mazzantini, costituita da ragazzini minorenni la cui l’età media oscillava dai quattordici ai diciassette anni. Moltissimi di questi erano volontari per cui prendere le armi gettate dopo l’armistizio era l’unica scelta possibile e non una scelta politica. L’educazione impartita imponeva già loro una via obbligata ed inoltre, solo loro, con la loro purezza potevano “smacchiare l’onta proiettatasi sull’Italia”.
Furono quei giovani a subire maggiormente il peso della sconfitta, sopportando sulle loro spalle il crollo di una società i cui adulti, i loro padri, i loro professori, tutti coloro che erano lì per guidarli e per difenderli si erano prostrati al nemico del giorno prima e ora fuggivano, si nascondevano, mentre loro erano le bestie sacrificali educate al sacrificio pronte ad espiare i peccati degli padri. Era naturale che in quei ragazzi sorgesse spontanea la volontà di riscatto, di rovesciare la situazione, di resistere alla dissoluzione e risollevare le sorti della Patria.

 

A sinistra: giovani camicie nere. – A destra: Marò della Xª MAS.

 

Questi giovani adempirono precisamente al compito cui furono educati tutta la vita, prendendo la via che si attendeva da loro; eppure la Storia li ha etichettati come fascisti, il ché è infamante oltre che scorretto: cosa significava essere fascisti quando lo Stato ed ogni aspetto della società era allora fascista? L’essere fascisti, se lo erano, non era una scelta ma il loro modo d’essere naturale per l’educazione impartita; ed impartita da chi? Dagli stessi intellettuali che dalla sera alla mattina si dissero essere da sempre antifascisti, ma che prima educavano alla via fascista.
Per Mazzantini, questa la realtà più inquietante e scomoda, che viene viilmente trascurata.

Ma non solo: sempre per Mazzantini la nuova intellighenzia rossa non è solo colpevole di aver cambiato veste, ma di aver poi incitato i giovani che scelsero la via partigiana all’odio indiscriminato nei confronti dei coetanei che combattevano a Salò, ragazzi non degni di alcun rispetto perché fascisti, ma, come abbiamo detto, resi fascisti sempre da loro, i loro maestri. Mazzantini non risparmia i nomi di molti di questi intellettuali, così come di comandanti di note formazioni partigiane, che prima occupavano ogni genere di mansione all’interno della società fascista: chi gerarca, chi podestà, e che per anni ed anni avevano contribuito ad alimentare e consolidare quel sistema.

 




 

Se da una parte c’erano loro, a difendere l’onore, chi c’era sull’altra sponda? Altri giovanissimi per nulla diversi, animati dalla stessi pensieri, umori e desideri; anche loro cercavano, in altre maniere, di resistere alla dissoluzione della Nazione, cercando di fare ciò in cui gli adulti avevano fallito.
A dividerli furono quindi delle piccolezze: per Mazzantini, per esempio, furono delle stellette raccolte da terra ad innescare in lui quei pensieri che lo porteranno a Salò, ma la via delle armi era un pensiero obbligato per degli adolescenti che concludono tutta la scalata da figli della lupa, a balilla fino ad avanguardisti. L’unico modo per uscire dalla formattazione era magari una discussione con qualche adulto, qualche universitario o la lettura di un libro, delle piccolezze che innescano poi un’onda di pensieri e scelte di vita.
Quale che fu la strada intrapresa essa fu presa nella più totale e pura ingenuità, convinti che qualcosa di grande e di epico li avrebbe attesi: questa aspettativa non solo si rivelerà irrealistica, ma la loro illusione si scontrerà ben presto con la realtà, ferendoli irrimediabilmente. Nel testo, ma in particolare nel precedente A Cercar La Bella Morte, l’autore racconta come, avuta finalmente la prima missione sul campo, si diressero in una sperduta località cantando allegramente, ignari che poche ore dopo, a due diversi angoli del paese cui erano di pattuglia, due compagni sarebbero rimasti vittime di un agguato: uno ritrovato col suo pugnale piantato nel cuore e l’altro oltraggiato, con le “M” portate sul bavero conficcategli negli occhi. Caricati i corpi inermi dei due compagni sul camion, tornarono senza più intonare i loro inni come invece all’andata, confusi ed ancora inconsapevoli d’essere diventati adulti d’improvviso.

 

Giovanissime mascotte della Xª MAS.

 

Questo il momento di drammatica realizzazione. Mai prima di allora avrebbero potuto immaginare un simile orrore, lontano ancora dal loro modo di pensare e di agire. È questo per loro non solo l’evento iniziatico che li introdurrà alla guerra in sé, ma ad un particolare tipo di guerra ancora sconosciuto: la guerra partigiana. Se prima marciavano per le vie illudendosi di avere il pieno sostegno popolare, si rendono ora ben conto che ad osservarli dietro ogni finestra, dietro gli scuri abbassati, si nasconde forse un loro nemico. Perfino chi li sosteneva ormai non può che pensare a salvare la pelle ed a trovare la migliore soluzione per la fine del conflitto. Ecco che questi giovani restano da soli ed inizia una guerra non dichiarata contro tutti, fatta di colpi inferti e sangue versato, di attentati subiti e feroci vendette. A rendere in pieno l’idea di questo loro malessere è un canto diffusosi tra gli appartenenti ai battaglioni “M” e scritto dall’allora diciannovenne Mario Castellacci: Le donne non ci vogliono più bene.

 

Marò della Xª MAS.

 

Questi sono solo alcuni dei grandi temi trattati nell’opera. Ad oggi il testo è ancora attualissimo ed apre una visione “nuova” sugli eventi del tempo, riuscendo a tradurre i pensieri che mossero tanti giovani in quegli anni tanto agitati e a metterli perfettamente in chiaro; ma non solo: per quanto Mazzantini abbia cercato la via della pacificazione, soprattutto negli ultimi anni (riuscendo perfino a perdonare i suoi aguzzini dopo la prigionia), a diritto fa i conti con la Storia non risparmiando nessuno, trovando colpe e colpevoli quando necessario.
L’autore, abile osservatore tanto attivo quanto passivo, ha dalla sua non solo un cospicuo bagaglio di memorie, avendo vissuto gli eventi sulla sua pelle, ma anche la fortuna di essersi potuto confrontare con tanti suoi coetanei dell’epoca potendo intrecciare e collegare le memorie di tutti e cogliendo da tutti i punti di vista; le riflessioni che scaturiscono sono quindi la somma di tanti vissuti ricuciti da Mazzantini ed il testo prende di conseguenza quasi la forma di un’opera corale. Colmo di acute ed originali analisi stese con grandissima capacità, è un testo che per la sua complessità si legge facilmente d’un fiato, seppur un senso d’amarezza ci avvolga dall’inizio alla fine: i temi d’altronde sono cupi e gli interrogativi cui si risponde creano forse ulteriori domande sul nostro passato che non possono che gettare un’ombra su tutta la Storia che ha seguito sino ad oggi.

Leggendo e stringendo tra le mani il libro si ha l’impressione d’essersi imbattuti in qualcosa di raro e allo stesso tempo di proibito; questo perché, sebbene ciò che è narrato appaia limpido e vero, e nonostante il grande nome dell’autore, appare evidente che l’opera non è stata accolta come si deve nel suo ambiente e forse volutamente dimenticata. Ecco perché sembra ancora di imbatterci in qualcosa di nuovo, perché il pensiero contenuto nel libro non è riuscito ad uscire dallo stesso, come invece meriterebbe. I Balilla Andarono A Salò è un testo privo di filtri e secondi fini, imprescindibile e fondamentale qualunque siano le proprie convinzioni politiche.

 

I Balilla Andarono A Salò: l’armata degli adolescenti che pagò il conto della Storia, 1995
Voto: 9
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