Stati insulari: quando l’isolamento è oblio

Due piccoli stati insulari testimonieranno davanti al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare il rischio che stanno correndo a causa dei livelli di inquinamento.

 

 

I leader di nove stati insulari sparsi fra Oceania e Caraibi (Bahamas, Tuvalu, Vanuatu, Niue, Palau, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine e Antigua e Barbuda) hanno annunciato che si rivolgeranno all’ITLOS (Tribunale internazionale del diritto del mare) per cercare di ottenere dal meccanismo del diritto internazionale una protezione consistente, e soprattutto efficace, contro i pericoli che questi Stati stanno già correndo a causa dell’inquinamento e del conseguente aumento del livello medio dei mari.

Il riscaldamento globale, come dimostrato da ampie e numerose ricerche, sta provocando lo scioglimento repentino delle calotte polari e dei ghiacciai alpini; tutta questa massa d’acqua dunque finisce inevitabilmente nei mari, che di conseguenza aumentano il loro livello medio arrivando così ad insidiare sia le coste di penisola come la nostra, sia intere Nazioni insulari come nel caso degli Stati caraibici e oceanici.

Il punto principale della questione che si intende sottoporre all’ITLOS è il rapporto fra il rischio che questi Paesi stanno correndo e il loro peso specifico in termini di emissioni inquinati; la somma delle emissioni di agenti inquinanti di tutti questi Stati è infatti inferiore all’1% del totale, il che significa che il rischio maggiore all’interno di questa vicenda lo stanno correndo coloro i quali hanno contribuito meno alla creazione di questa situazione di rischio.

 

 

Potrebbe essere definito come il risultato paradossale di un sistema economico come quello capitalista, la cui tensione naturale verso il plusvalore da parte dei soggetti dominanti (Stato o enormi multinazionali) sta inesorabilmente erodendo e modificando il sistema Terra a discapito dei soggetti economicamente meno dominanti e perciò ultra periferici rispetto ai poli nevralgici attraverso i quali si dipana la società capitalista più avanzata e quindi più importante.

Tale condizione pone certamente queste località in una posizione marginale anche nel panorama dell’informazione; la condizione di questi luoghi rispetto agli attuali eventi climatici è spesso ignorata da buona parte della popolazione occidentale, magari influenzata dall’immagine paradisiaca che l’industria turistica ha costruito di certi luoghi, che li ha resi come distaccati dal contesto globale, lontani, eterei e per questo immuni.

Purtroppo la realtà è un’altra, e la perdita in termini di superfici di terre emerse che questi Paesi stanno subendo è preoccupante nell’ottica di un trend inquinante destinato a non calare almeno nel breve periodo; per il momento in molti territori, come Vanuatu, stanno scomparendo ogni anno porzioni di terre emerse su atolli marginali, perlopiù disabitate e lontane dai centri principali. Ma cosa accadrà quando questo fenomeno inizierà a coinvolgere le città principali di questi Stati?

Le società dominanti nel sistema economico dovrebbero probabilmente iniziare a prendere atto del problema con la consapevolezza delle proprie colpe in termini di inquinamento, anche rispetto alla storia industriale di questi Paesi; qualsiasi ideologia o pensiero politico forse dovrebbe essere in grado di riconoscere come inammissibile una lesione tale ad un’altra entità statale, soprattutto se posta in una condizione di isolamento tale da non essere neanche in grado di partecipare a quel fenomeno economico.

 

 

Sarà in grado la società, se non debitamente e oggettivamente informata, di capire che il proprio stile di vita può influire profondamente sulle dinamiche di una popolazione che molto probabilmente, nel breve periodo, sarà costretta a lasciare il luogo in cui giace la matrice della propria identità culturale?

Vedendo come viene affrontato il tema dell’immigrazione in Europa, probabilmente non lo capirà: la desertificazione che avanza e la conseguente scarsità di terre, oltreché gli esorbitanti livelli di inquinamento delle acque e dei terreni dati dall’abuso delle industrie (spesso partner di importanti aziende occidentali, come nel caso del Lago Vittoria), e dalla mancanza in molti casi di un adeguato sistema fognario, sono temi che non sono mai citati all’interno del dibattito nonostante la loro oggettiva incidenza sul fenomeno stesso.

In un’ottica tutta italiana, forse, aspetteremo che l’acqua trasformi Piazza San Marco nella spiaggia più bella del mondo.

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