The Playlist: la recensione

La musica è cambiata. Gli artisti non sono più sfruttati dai discografici ma dagli svedesi di Spotify e qua si racconta come ci sono riusciti!

 

The Playlist recensione

 

La serie di Netflix racconta in sei episodi come sia stato creato quest’incredibile player di musica online in grado di riprodurre in tempo (quasi) reale canzoni di tutto il mondo. Ma non solo: racconta anche di come i dinosauri dei vinili e dei cd si siano fatti infinocchiare da un manipolo di nerd che, con olio di gomito e strisce di codice, hanno salvato gli artisti dall’era glaciale per poi imprigionarli in un servizio che fa ricchi tutti tranne quelli che scrivono e cantano musica. Dalla padella alla brace? È un po’ il succo di questo titolo davvero ben girato e ritmato, non senza qualche pecca.

Tratto da Spotify Untold, libro del 2021 scritto dai giornalisti investigativi Sven Carlsson e Jonas Leijonhufvud, lo script dice come hanno creato Spotify dal nulla ma con una trovata geniale. Ogni puntata ha per protagonista un soggetto diverso: dal creatore dell’idea Daniel Ek fino alla prima cantante Bobbie che è stata caricata sulla piattaforma. Un modo effettivamente forte per mostrare allo spettatore come si possa passare da una geniale intuizione che ti gonfia di soldi (e di soldi Ek è gonfio davvero) alla scelta senziente di uccidere del tutto chi ancora anela a fare di questa passione un mestiere. A differenza del cugino The Social Network, questa serie, diretta da Per-Olav Sørensen e Hallgrim Haug, una posizione netta la prende: senza spoilerare nulla, la scena finale dell’ultima puntata esprime chiaramente cosa pensano i cineasti di questa pseudo-innovazione.

Tutto molto bello? No, perché la narrazione parte forte ma poi inciampa fino a fermarsi del tutto. All’inizio c’è entusiasmo e curiosità (ti chiedi come sia nato Spotify) mentre, strada facendo, essendo di base sempre la stessa storia, diventa complicato appassionarsi; e questo anche se si tratta di punti di vista diversi… perché non ogni punto di vista fa gola. La puntata dell’avvocatessa Petra Hansson è una chiodata sugli zebedei e quella sul discografico Per Sundin un tuffo nel nulla siderale. Noia, noia e ancora noia.

Un solo eroe si staglia nel cielo, si chiama Martin Lorentz ed è pazzo. Si tratta di un tizio sempre vestito elegante, col capello leccato da una mucca e ingellato da far schifo il cui lavoro è dare soldi su soldi. Sì, perché è lui che finanzia tutta la startup, ma investendo come fosse già un’azienda enorme, assumendo gente per strada con stipendi faraonici e benefit da rockstar; il tutto ridendo continuamente e ballando. Davvero… ballando. Questo svitato mette la musica a palla in ufficio, si tira su le maniche della camicia e inizia a saltare sulla cassa in quattro come un fattone di un rave. E quando le cose sembrano mettersi male, lui balla di più e spende ancora più soldi. La scena del ristorante in cui Martin spiega ai soci come intende occupare il mercato usando la metafora del carrello dei dolci (!) è da far vedere in tutti i corsi di marketing.

 

The Playlist recensione

 

Ek ora ha un’azienda che vale tra i due e tre miliardi tanto che vuole comprarsi l’Arsenal come se fosse una scatola di Subbuteo. Può essere divertente sapere come ci sia riuscito ma, alla lunga, bastavano due ore scarse per spiegarlo. Perché allo spettatore frega zero della battaglia di Ehn per fermare il buffering del lettore o della spinta di Sundin per impedire a Sony Music di essere travolto da download illegali. Qua sta tutto l’equivoco di una serie bella e brutta insieme.

Diciamo che The Playlist è quella classica ragazza che ti rimorchi in discoteca ed è una gran figa ma che poi ti ritrovi nel letto la mattina dopo senza trucco e vorresti avere il teletrasporto di Star Trek per essere ovunque tranne che là.

 

The Playlist, 2022
Voto: 7
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