Inventing Anna: la recensione

Non si capisce se sia più fastidiosa la serie in sé o lo stupido accento russo della protagonista che si ficca testa come un chiodo.

 

Inventing Anna

 

Resta il fatto che Inventing Anna predica bene, ma razzola male. Molto male. Perché parte da ottime premesse ma atterra su uno sviluppo da suicidio di massa. La scintilla che ha infiammato l’entusiasmo dei capoccioni di Netflix è l’idea di raccontare la (folle) vita vera della giovane Anna Sorokin che ha perculato la Manhattan che conta con una facilità impressionante ed in poco tempo. E così sono usciti fuori i soldi per produrre questa miniserie di nove episodi, creata e prodotta dall’inarrestabile Shonda Rhimes (quella di Grey’s Anatomy e produttrice esecutiva del polpettone Bridgerton) e ispirata ai racconti di Jessica Pressler, in particolare al suo articolo How Anna Delvey Tricked New York’s Party People.

Un po’ Prova A Prendermi di Spielberg ma senza Spielberg, Tom Hanks e Leonardo Di Caprio! Un po’ Cercasi Susan Disperatamente ma senza Rosanna Arquette e Madonna. Un po’ una sola. Le avventure di questa giovane artista della truffa russo-crucca che, tra il 2013 e il 2017, dietro la falsa identità di Anna Delvey, ha finto di essere una ricca ereditiera per frodare banche, hotel di lusso e l’élite di tutta New York, sono interessanti. Tutto il resto no.

A partire dall’insipida protagonista doppiata da una bambina con la cadenza di Ivan Drago.

Una storia per certi versi vista e rivista, condita da falliti di ogni genere che vedono in questo ultimo treno l’occasione di non finire schiacciati sotto le rotaie: come Anna Maria Chlumsky, nel ruolo della giornalista del “Manhattan Magazine” che ha bisogno di risollevare la propria carriera (quella di Vivian Kent) o dell’avvocato penalista Todd Spodek (Arian Moayed) che prova a salvare il suo matrimonio e a far decollare la sua professione al limite della mascotte del campus. Facce sbagliate, recitazioni sopra le righe, costumi eccessivamente sciatti pur nella loro voluta sciatteria.

La buona Shonda Rhimes voleva affrontare il tema centrale della crisi d’identità in una società liquida oberata dai privilegi dell’élite e dai social media, che sembra riconoscere un unico antidoto: la ricerca dell’autenticità. E invece… la scrittrice cade nell’ormai consueta voglia di mostrare lo sfarzo di una vita che nessuno di noi avrà mai, ostentando un lusso stucchevole come 15 crepes alla nutella di fila. Elicotteri, yacht, zoccolame di ogni tipo, case da urlo, sesso di gruppo, droghe senza un domani… dovremmo tutti fare “Ohhhh”, come c’insegnò Povia anni fa, e invece restiamo concentrati a non farci cadere la palpebra, divorati da un solo importante quesito: perché tutto questo dovrebbe interessarmi? Perché?

 

Inventing Anna

 

Non credo che ci sia qualcuno davvero spinto a voler vedere Anna Delvey fuori dal gabbio. C’è finita da sola per motivi futili e dopo aver fatto danni ovunque. Come sarebbe mai possibile empatizzare con una zucchina simile? E l’attempata giornalista che, con quest’articolo, cerca di ripulirsi da una macchia non sua, è davvero qualcuno a cui impariamo a voler bene? Una che sgrana gli occhi a palla ogni fotogramma e chi si tiene la schiena perché ha paura di sgravare sui tavoli del carcere o in redazione?

Ci ricordiamo tutti che facevamo il tifo per il giovane Leo in Prova A Prendermi e che la sua nemesi Tom era diventato una specie di Zenigata a cui era impossibile voler augurare qualche accidenti. Ci ricordiamo tutti che emozioni sapeva creare quel film. Ora non ci ricordiamo più perché abbiamo deciso di iniziare a vedere questa serie.

 

Inventing Anna, 2022
Voto: 5 (stiracchiato)
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