The Beatles: Get Back – la recensione

In principio ci furono i Beatles, poi venne tutto il resto del pop. Non a caso Peter Jackson restituisce lo scettro ai re del genere.

 

Get Back – la recensione della docu-serie

 

Ci sono i film e le serie e ora, nella terra di mezzo (citazione non casuale), c’è anche la docu-serie che divide in episodi strutturati un documentario che non merita di essere mortificato nelle canoniche due ore. Era proprio il caso del fiume di materiale inedito sui Fab Four che si è trovato a lavorare il regista de Il Signore Degli Anelli. Il dono della sintesi, semmai, era necessario per evitare che si producessero più stagioni di Un Posto Al sole. E dono della sintesi c’è stato perché sono venuti fuori tre corposi capitoli di una storia mozzafiato che si segue piacevolmente.

Giunti quasi alla fine della loro sfavillante carriera come band, ormai ricchi e un po’ viziati, i ragazzi di Liverpool devono reincontrarsi per registrare in 14 giorni appena un disco… il tutto ripreso dalle telecamere di uno show televisivo (X-Factor scansate). Ci riusciranno? Lo vorranno fare? Si ricorderano ancora come si fa? Tanti quesiti tutti validi per questo scorcio pazzesco della vita artistica della band tra scazzi, sfumazzi e assolazzi.

Lennon e McCarty sono in pieno derby Lazio-Roma, si sputerebbero in faccia ogni minuto ma, quando si mettono sullo strumento, fanno ancora magie. La naturalezza con cui cantano e suonano brani appena scritti (che poi diventeranno chicche della storia della musica) fa paura ed è anche un po’ deprimente per chi ambisce ad emularli. Che il loro connubio generi diamanti lo si capisce quando Paul porta in studio un abbozzo di Let It Be (mica Laura Non C’è di Nek) e John, quasi seccato, la completa col testo che abbiamo imparato ad amare per generazioni.

Lo spaccato di questa serie è inimmaginabile. Si ha l’occasione rarissima di spiare dentro il talento di chi ha scritto capolavori indelebili osservando nevrosi, gelosie e schizzi di pura arte. Il lavoro di Jackson è tecnicamente perfetto ma, soprattutto, storicamente immenso. Solo dopo queste ore di visione si scopre che il tanto bistrattato Ringo è in realtà una macchina da guerra che non rompe le palle a nessuno quando si litiga ma che spacca il tempo quando si suona. Anche la fragilità di George Harrison è inedita: sembra il figlio depresso della coppia in crisi Lennon/McCarty. Piange, si ammutolisce, abbassa continuamente gli occhi, a un certo punto sparisce.

 

Get Back – la recensione della docu-serie culto girata da Peter Jackson e mandata in onda in tre puntate da DisneyPlus.

 

Il tatto del regista è commovente. Fattivamente non ha girato nulla (era un bambino in quel periodo) ma ha saputo far suo tutto il video tagliandolo e montandolo con grazia narrativa e logica (cosa non facile considerando che i quattro erano fuori di melone). Anche il lavoro di sceneggiatura è minimale: compare solo attraverso qualche didascalia informativa, mentre il resto è puro e semplice atto artistico, con tantissimi simpatici fuori onda. La presenza (costante) di Yoko Ono è disperante. Fa la calzetta mentre quelli registrano il disco oppure canta (male) mentre il marito (strafatto) canta cose nuove (altrettanto male). Se avevamo dubbi sulla morbosità di quel rapporto, questa docu-serie ce la mostra in modo inquietante. C’è un solo neo in questo gioiellino.

Get Back sarà adorata dai milioni di fan dei Beatles nel mondo e sarà studiata come la Bibbia dai milioni di musicisti in giro per le terra. Tutti gli altri potrebbero trovare noiosi i 468 minuti in cui gli scarafaggi più famosi del mondo registrano l’album e lo suonano dal vivo su un tetto. Pazienza, si consoleranno con una retrospettiva su Povia.

 

Get Back, 2021
Voto: 9
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