Piccola operazione matematica: Danny Boyle + punk + Londra degli settanta = bomba. Cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.
E’ davvero bella Pistol, la serie tv con cui il regista che ci ha regalato Trainspotting e The Milionaire racconta i Sex Pistols e la nascita del punk nel mondo. Su Disney Plus è disponibile questo lavoro che analizza la genesi di una delle band più discusse della scena internazionale dal punto di vista ovviamente soggettivo del chitarrista (si fa per dire) Steve Jones. E’ infatti attraverso i suoi occhi che assistiamo alla risse verbali e non con Johnny Rotten e alle frecciatine indirizzate al pessimo padre adottivo. Poco male, perché sono gli occhi di chi ha davvero contribuito a creare una contro-cultura importante nei confronti di una società bigotta e ferma su posizioni stantie.
In chiave narrativa, il regista inglese ripercorre la genesi e la distruzione di questa band che ha operato pochissimi anni sulla scena internazionale (dal 1975 al 1979), ma sufficienti per rimanere per sempre indelebile nelle icone di rottura delle sette note. Non sapevano suonare, non sapevano cantare, non sapevano ballare… di base non sapevano fare niente. La loro forza, però, fu di non nasconderlo ma, semmai, di ostentarlo in concerti folli in cui le persone si sputavano in faccia e dove contava di più il look sdrucito dei musicisti rispetto alle canzoni.
Eppure anche in questa serie di appena 6 episodi una hit esce fuori ed è la fantastica Anarchy in the UK, che Rotten voleva intitolare “No Future” e che simboleggiava la mazza da baseball che il gruppo diede sui denti al loro paese. Ne fu conferma God save the Queen che bandì definitivamente i bad boys dalle tv e dalle radio del globo intero ma che li lanciò nell’Olimpo dei grandissimi rompicoglioni. Posto dove ancora riposano in pace.
La regia di Boyle è estraniante e quindi indovinata. Ci sono continui cambi di fotografia, dal patinato di alcune scene al limite del docu-riot in alcuni concerti. Tutto è molto curato nella ricostruzione di una perfetta City degli anni ’70 e si assiste ad una sfilata costante di abiti sconcertanti come solo in quel periodo si potevano vedere. I Sex Pistols, d’altronde, arrivano da un negozio di vestiario chiamato solo Sex, di proprietà (non a caso) del manager Malcom McLaren, che iniziò a sponsorizzarli per far girare il vestiario in vendita. Come tutti sappiamo, le cose presero un’altra piega… anche grazie al cambio di marcia che risponde al nome di Sid Vicious.
Ottima l’interpretazione di Louis Partidge che dà un volto alla disperazione. Un personaggio nero, vuoto, ma comunque ipnotico. Quanto dolore può contenere una persona sola? Una domanda a cui risponde la breve vita di questo musicista che non faceva musica ma che entrò lo stesso nella band solo per il merito di essere dannatamente bello. Il racconto del suo crollo è incalzante, macabro, cruento. Nessuno vorrebbe stare al suo posto, nessuno riesce però a non guardare il suo schianto. Come un incidente per strada, ma col basso al collo.
Se volete godervi circa sei ore di musica ottima e vivere un periodo dove tutto sembrava possibile, questa è la serie per voi. In questo presente virtuale nessuno dei Maneskin si vestirebbe di sangue e sudore per suonare al concerto di Natale dei pompieri. Forse per fortuna.
Pistol, 2022
Voto: 8