Violenti scontri stanno interessando il Paese africano, snodo strategico nel continente e principale punto di partenza per i flussi migratori diretti verso l’Italia.
Da sabato 15 aprile il Sudan è scosso da violenti disordini tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Force – RSF; le violenze sono in corso principalmente a Khartum e hanno causato finora più di ottanta morti tra i civili. Gli scontri hanno raggiunto sia il palazzo presidenziale che l’aeroporto, rivendicato da entrambi gli schieramenti, ma il raggio d’azione dei disordini si allarga di giorno in giorno. Grandi potenze come Stati Uniti e Gran Bretagna hanno lanciato appelli alle due fazioni per interrompere le ostilità che potrebbero portare non solo conseguenze nel Sahel ma accentuare anche il flusso di migrazioni verso il Mediterraneo centrale.
Lo scontro si sta sviluppando intorno a due figure chiave: da una parte abbiamo il Generale Abdel Fattah al-Burhan, leader del Governo de facto del Paese e capo dell’Esercito regolare; dall’altra parte il Generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, a guida delle RSF. Alleati nel 2017 nel conflitto in Darfur, i due hanno iniziato ad allontanarsi nel 2021, anno del colpo di Stato che ha destituito il Governo di Bashir e che ha portato al-Burhan a capo del Consiglio Sovrano del Sudan, organo di Governo transitorio che avrebbe dovuto traghettare il Paese a libere elezioni proprio nel 2023. Negli ultimi mesi il rapporto è precipitato dopo la richiesta di far confluire i membri della RSF nell’esercito regolare, provvedimento che ha trovato fin da subito l’opposizione di Hemedti.
Il gruppo paramilitare, fondato nel 2013, conta decine di migliaia di membri e controlla le miniere d’oro del Darfur, cosa che permette alla RSF di avere un patrimonio ingente già utilizzato per rifornirsi di armamenti ed equipaggiamenti di alto livello, non inferiori a quelli dell’esercito di Khartum.
La Repubblica del Sudan è un Paese arabo-africano, la popolazione è di quasi quarantasei milioni di abitanti, con una crescita demografica costante, confina a Nord con l’Egitto e si affaccia sul Mar Rosso, condizioni che rendono il Sudan uno snodo strategico per Africa, Asia ma anche Europa. Proprio il vecchio continente non può sottovalutare le vicissitudini dello Stato africano, crocevia naturale di tre delle maggiori rotte migratorie della regione; a Khartum confluiscono e si riorganizzano i flussi diretti dall’Africa subsahariana verso la Libia, punto d’imbarco verso i confini meridionali dell’Unione Europea. I disordini di questi ultimi giorni potrebbero produrre effetti ad ampio spettro, proiettando verso le coste Europee, e soprattutto italiane, nuovi flussi migratori provenienti dal Sahel.
Secondo Hemedti il colpo di Stato del 2021 è stato un errore e propone la RSF come alternativa all’élite di Khartum; la visione del leader della forza paramilitare è condivisa da un buona parte del Paese, ma la maggior parte dei sudanesi giudica inconciliabile la pretesa democratizzante della RSF con i brutali attacchi che quest’ultima ha portato negli ultimi anni. La compagine di al-Burhan ha dichiarato l’intenzione di consegnare il potere ad un Governo democraticamente eletto ma ad oggi ogni tentativo della società civile di partecipare alla vita politica del Paese è stato stroncato sul nascere.
La paura principale in questo momento è che il conflitto si allarghi a tutto il Paese trasformando il Sudan nel campo di battaglia di una guerra civile col conseguente contagio dei contesti precari degli Stati vicini. I Presidenti di Kenya, Sudan del Sud e Djibouti hanno dichiarato di volersi recare a Khartum per colloquiare con i leader delle due fazioni in lotta mentre USA, Regno Unito e Unione Europea seguono i fatti cercando vie di comunicazione diplomatiche.
Il Sahel oggi può diventare una polveriera o un’occasione per l’UE e l’Italia: l’Africa rappresenta sempre più la proiezione strategica europea. Nelle prossime settimane la situazione prenderà una direttrice precisa; il momento di intervenire in modo proattivo è adesso.