Il Giappone si arma; quali conseguenze per l’Indo-Pacifico?

Tokyo sembra essere avviata all’adozione di una nuova politica difensiva aumentando i propri armamenti come mai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

 

 

Lo scalpore suscitato da questa notizia non è eccessivo e si basa su motivazioni storiche che hanno identificato il Giappone negli ultimi settant’anni come Paese pacifista; questo aggettivo scaturisce direttamente dalla Costituzione adottata nel 1947, durante l’occupazione degli Alleati post Seconda Guerra Mondiale. Quello giapponese è un caso unico: la Costituzione infatti fu scritta da due funzionari americani e poi tradotta; gli Alleati inserirono delle norme molto rigide riguardanti il riarmo e il militarismo. Ciò, insieme al fatto che dall’adozione del testo Fondamentale esso non sia mai stato riformato, ha reso il Giappone negli ultimi settant’anni un Paese avulso da qualsiasi paradigma militare-offensivo.

La nuova strategia impegna Tokyo ad utilizzare il 2 per cento del prodotto interno lordo nelle spese militari, uniformandosi così allo standard NATO, e ad acquisire su base quadriennale armamenti missilistici a lungo raggio; a questo obiettivo si affianca il progetto di sviluppo di aerei da caccia di ultima generazione in partnership con il Regno Unito e con l’Italia. L’obiettivo dichiarato è quello di migliorare la propria prontezza di contrattacco superando il paradigma puramente difensivo finora adottato e che lascia in eredità al Paese una riserva missilistica fatta principalmente di razzi a corto raggio. Il Giappone ha intenzione di produrre un missile indigeno ad alto potenziale e recentemente ha acquistato una scorta di Tomahawk Land Attack Missiles (TLAM) americani da portare in dotazione alla propria flotta.

 

 

In tutto ciò, come stanno reagendo alleati e competitor regionali? La politica estera e di difesa giapponese dal dopoguerra ad oggi è stata fortemente segnata dall’influenza statunitense legando il destino del Sol Levante ai desideri di Washington. Se gli americani hanno avuto interesse negli anni ad avere un Giappone smilitarizzato, oggi lo scenario è diametralmente opposto. Come si legge nella stessa NSS, l’establishment giapponese ha identificato la Cina come la più grande sfida strategica da affrontare, mentre la Corea del Nord è additata come minaccia grave e imminente alla sicurezza del Paese; proprio da questi due nemici degli USA sono arrivate le critiche più veementi verso la nuova strategia giapponese, accusando Tokyo di essere una pedina americana.

 

 

Il desiderio di accrescere il proprio potenziale bellico può essere sinonimo di due cose: il Giappone vuole strizzare l’occhio all’alleato americano come baluardo degli interessi occidentali nell’Indo-Pacifico oppure l’alleanza di Washington non offre più le stesse garanzie ai giapponesi. Fatto sta che le politiche pacifiste di Tokyo mal si coniugano con un’economia tra le più importanti del mondo, sorretta poi da un settore tecnologico all’avanguardia come quello nipponico. Saltare subito alla conclusione che un Giappone più forte militarmente si porrebbe come attore conflittuale in Asia costituisce un’analisi frettolosa; sì, il Paese è al centro di dispute territoriali con Russia e Cina, inoltre non nasconde la propria simpatia verso la causa di Taiwan, ma segnali di azioni proattive non sono ancora presenti. Quello che invece si può affermare con certezza è che il Giappone negli ultimi anni si è preparato molto bene ed ha elaborato una propria proposta militare che, basandosi su un paradigma di autodifesa, appare più che mai legittima e congrua ad uno Stato sovrano.

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