La Russia al centro di una lotta di potere?

Le parole di Prigozhin sulla necessità di fermare la guerra in Ucraina aprono numerosi interrogativi sul futuro politico di Mosca.

 

 

Che il Gruppo Wagner sia stato un elemento cardine nell’ultima offensiva russa in Ucraina e che sposti l’ago della bilancia nelle battaglie in cui è coinvolto è indubbio. Evgenij Prigozhin, il deus ex machina dietro l’organizzazione militare privata russa lo sa bene e non a caso da diverse settimane sembra aver modificato la sua strategia politica ancor prima che quella militare.

Prigozhin infatti sta cercando sempre più di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica russa sulla sua persona. Grazie ai successi dei suoi soldati sul campo di battaglia e all’importantissimo impatto che hanno anche nei numerosi teatri africani in cui sono impiegati (non ultimo il colpo di Stato avvenuto in Sudan nella notte fra sabato e domenica scorsi), Prigozhin sta diventando una figura scomoda per il Cremlino.
Sono state diverse le esternazioni fatte da Prigozhin nell’ultimo periodo, tutte piuttosto arroganti ma difficilmente oppugnabili da parte dell’establishment politico-militare russo. Non stupisce il fatto che dopo aver fatto dichiarazioni forti sulla preparazione e sulla gestione dell’esercito regolare russo il capo del Gruppo Wagner abbia ricevuto una censura non ufficiale da parte di Putin, tanto che addirittura le sue truppe sono state temporaneamente messe da parte e sono state reimpiegate solo dietro estrema necessità nella battaglia di Bakhmut.

 

 

Prigozhin sembra aver imparato la lezione che con Putin non si scherza (sono in molti ad aver fatto una pessima fine), ma nel comunicato dei giorni scorsi c’è molto di più dietro ad una fredda ed incontestabile analisi dei risultati ottenuti finora.
Se da una parte infatti Prigozhin indirettamente mette in luce la mancanza di una strategia da parte del Cremlino, che non ha posto obiettivi chiari nella sua campagna contro l’Ucraina, dall’altra offre una “exit strategy” a Vladimir Putin: conquistate le regioni dove la popolazione è parzialmente filo-russa, indebolito l’esercito ucraino (come se fosse mai stato un vero pericolo per l’integrità russa), consolidato il dominio sulla Crimea e creato un corridoio di terra che la unisca ai territori interni della Russia, è ora di terminare gli scontri.

 

 

Prigozhin tace però sulle altre motivazioni che potrebbero spingere Mosca al tavolo delle trattative: l’esaurimento delle risorse militari, l’indebolimento dell’economia interna ora completamente volta a supportare la macchina bellica e tuttora non in grado di rimpiazzare i mancati export verso l’occidente, e un generale malcontento di una parte della popolazione russa che, nonostante il pugno duro operato dalla censura di Stato, mal tollera questa guerra e soffre dell’incalcolabile numero di caduti fra i giovani, mandati in guerra senza preparazione e senza equipaggiamento adeguato. Prigozhin tace e lo fa per non mettere ulteriormente in difficoltà Putin.

Ma le mire di Prigozhin sembrano ormai sempre più delineate: mettersi in corsa per la successione al Presidente russo. Forte delle sue vittorie militari, a capo di un gruppo armato indiscutibilmente temibile, apprezzato da una larga fetta di popolazione, Evgenij Prigozhin sta gettando le fondamenta per la sua scalata al potere; ma a contrastarlo sarà la nomenclatura attualmente al comando del timone, della quale Prigozhin è estraneo, e probabilmente i vertici militari da lui precedentemente scherniti. Resta da capire la posizione delle forze armate russe nel loro insieme, che potrebbero vedere in Prigozhin qualcuno capace di ridar loro lustro.

 

 

Resta il fatto che quanto affermato da Prigozhin negli ultimi mesi, oltre che negli ultimi giorni, è inoppugnabile; potrebbe essere lui l’uomo nuovo della politica russa, fatto che potrebbe portare ad imprevedibili conseguenze nel panorama della stabilità della Russia.

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