I segnali in arrivo dall’ucraina sono molteplici ed estremamente preoccupanti; il rischio di una guerra totale con la NATO si fa sempre più concreto.
Quando lo scorso anno la Russia invase l’Ucraina fummo colti tutti impreparati. Nessuno pensava realmente che Putin avrebbe mosso le sue truppe all’interno del territorio di Kiev. In dodici mesi lo scenario è mutato più di una volta, portandoci da una guerra lampo ad una di attrito, alla quale però oggi l’oligarca russo sembra voler imprimere una velocità differente.
Nelle scorse settimane l’attività bellica russa si è intensificata sia in Ucraina, con un’offensiva di portata simile a quella vista nei primi giorni di guerra, sia sul fronte NATO, con sorvoli di missili, sconfinamenti di aerei militari e attacchi informatici facilmente riconducibili a gruppi hacker filo-russi, fino al possibile colpo di stato smascherato in Moldavia. Non sono azioni che arrivano per caso: se da una parte la ripresa delle attività militari in concomitanza con la primavera era stata ampiamente prevista, dall’altro la NATO ha attuato misure di supporto a Kiev che Mosca non può tollerare. L’annuncio delle forniture di carri armati e di aerei da guerra significa portare il livello di tensione molto più in alto di quanto fatto con la consegna di batterie antimissile o di pezzi di artiglieria di precisione, utilizzati finora solo come contromisure; carri e caccia infatti saranno le armi che Kiev utilizzerà per ottenere un vantaggio strategico che la tecnologia russa non è in grado di bilanciare.
Ci sono però diversi aspetti da considerare. Il primo è che se da un lato queste forniture possono fare morale in Ucraina, è pur vero che ci vorranno mesi prima che i mezzi promessi dall’occidente diventino realmente operativi; sia per motivi legati all’addrestramento degli equipaggi (rigorosamente ucraini) che per la necessità di modificare determinate componenti o per la semplice riattivazione dei meccanismi d’arma (si pensi ai Leopard1 danesi, ai quali era stato a suo tempo disattivato in modo permanente il cannone).
Il secondo è che l’esercito ucraino è allo stremo delle forze. Il continuo assottigliamento del numero di soldati impegabili ed il consumo di munizioni leggere e pesanti non bilanciato da una produzione o una importazione sufficiente per mantenere pieni i magazzini, vede dall’altra parte un esercito russo utilizzare la sua storica strategia legata al numero, forte di una popolazione tre volte più numerosa ma soprattutto “spendibile” per l’establishment. L’utilizzo in prima linea di coscritti poco preparati è sicuramente un chiaro segnale che nemmeno la Russia ha riserve e linee di rifornimento tali da poter sostenere a lungo questa guerra; ciò nonostante, il rischio che le truppe di Mosca possano sfondare le linee ucraine ed occupare in modo definitivo il territorio ad ovest del Donbass è più che presente.
Nel caso in cui l’Ucraina dovesse cadere, Putin ed i falchi attorno a lui avrebbero nuovamente un accesso diretto al cuore dell’Europa, potendo quindi minacciare i paesi e le installazioni NATO e ripristinando una situazione simile (ma non uguale) a quella degli anni ’80; non è infatti un caso che Polonia, Romania e Stati baltici siano i primi a supportare la causa ucraina.
Ma al tempo stesso, in seno alla NATO si stanno evidenziando delle crepe difficilmente sanabili. Se dell’avvicinamento alla Russia da parte della Turchia abbiamo già parlato, è bene evidenziare come anche l’Ungheria sembra voler orbitare sempre di più verso l’influenza di Mosca; o almeno, questo è quello che sembra voler ottenere Viktor Orban. Il primo ministro ungherese, esponente principale dei valori più tradizionalisti costantemente osteggiati dai vertici di Strasburgo, sembra aver scelto di saltare il fossato e di voler progressivamente abbandonare un’Unione Europea nella quale i suoi elettori non sembrano rispecchiarsi. Se una possibile uscita dall’UE da parte dell’Ungheria significherebbe un’ulteriore indebolimento per un entità della quale sarebbe bene rivedere ruolo e competenza, dal punto di vista militare questo significherebbe consegnare in guanti bianchi alla Russia la maggior parte dei segreti militari NATO; cosa che peraltro potrebbe già essere in atto tramite Erdogan. Oltretutto, si fa fatica a non vedere il veto da parte di Ungheria e Turchia sull’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica come una dimostrazione di amicizia nei confronti di Putin mirata ad indebolire il fronte nord della NATO.
Tutto questo porta a considerare il fattore tempo come un elemento sempre più importante nel dossier Ucraina. Lo spiegamento dei sottomarini nucleari russi è un chiaro segnale di minaccia indirizzato all’occidente, ma difficilmente a questo punto la NATO potrà sfilarsi da un coinvolgimento sempre più diretto. Mentre i magazzini si stanno svuotando da entrambe i lati del fronte, tutti cercano una risoluzione rapida dal conflitto; il problema sono gli obiettivi contrastanti ed incompatibili, cosa che potrebbe portare nel medio periodo ad un confronto diretto, probabilmente nei cieli o in mare, tra Russia e NATO. Con lo spettro dell’olocausto nucleare sempre in agguato.