La minaccia nucleare e le frettolose annessioni sono il preambolo per poter negoziare una pace che gli permetta di salvare la faccia.
I segnali che l’esercito russo sia in difficoltà sono molti ed evidenti da tempo per chiunque voglia collegare i vari accadimenti dell’ultimo periodo. Con il richiamo forzato dei riservisti, o meglio di privati cittadini che hanno esperienze tecniche e pratiche sul campo di battaglia, Putin ha infatti semplicemente messo allo scoperto un nervo dolente e che i più attenti avevano individuato ormai da settimane.
Ma i primi motivi di smacco si sono avuti già nelle prime settimane di guerra, quando è stato chiaro ed evidente che l’esercito russo era incapace di decapitare la catena gerarchica di Kiev e di penetrare in profondità in territorio ucraine; la mancata cattura di Zelensky e delle principali città giallo-blu è stato il primo, scossone che ha iniziato a creare una profonda frattura sull’immagine pubblica di Putin in patria.
La fuga all’estero di quasi un milione di russi dopo l’annuncio del richiamo dei riservisti, la riconquista da parte dell’esercito ucraino di territori perduti ed un esercito ormai stabilmente sulla difensiva sono fattori che non possono non destabilizzare la posizione di Vladimir Putin. E all’estero i ricorrenti richiami al possibile impiego di armi nucleari tattiche stanno fortemente erodendo il supporto che il Presidente russo vantava presso i suoi più solidi alleati: Cina e India in primis. Lo stesso Xi Jinping, che ha dato il suo benestare all’invasione, ora lancia chiari segnali affinchè il conflitto termini il prima possibile; e non solo per il rischio nucleare. La Cina sta subendo la stessa crisi economica che la guerra e le sanzioni hanno innescato; la sua politica di crescita, come quella dell’occidente, era completamente basata su di una globalizzazioni mandata in difficoltà dall’emergenza Covid ed ora definitivamente messa in ginocchio dalla guerra in Ucraina.
Realisticamente, Putin ormai non ha molte frecce al suo arco da usare né sul campo di battaglia né all’interno del consesso politico russo. Sempre più isolato, distanziato dai suoi alleati strategici all’estero quanto messo in discussione internamente, il Presidente russo non può permettersi di usare alcuna arma atomica se non vuole innescare una risposta della NATO che potrebbe nel migliore dei casi globalizzare il conflitto e nel peggiore dei casi portare alla fine della vita sul pianeta. L’arma nucleare è quindi una scelta che Putin non può permettersi di fare, anche perchè non è affatto certo che il suo entourage gli consenta di andare in quella direzione. Un colpo di stato, che parta dalla cerchia ristretta o da elementi antagonisti a Putin, non è certo una possibilità remota vista la drammatica ed inaspettata ricaduta sul mondo russo.
L’annessione dei territori contestati a est gli consentono di raggiungere una situazione di stallo che sta per verificarsi con l’arrivo dell’inverno e poter negoziare una pace vantaggiosa, dimostrando (a se stesso più che ai suoi cittadini) di aver raggiunto lo scopo e di poter interrompere i combattimenti in modo vittorioso. Gli Stati Uniti, invischiati nella crisi economica globale, accetterebbero questo esito senza perdere un istante, costringendo Zelensky ad accettare le condizioni pena la sospensione della fornitura degli aiuti militari.
Questo consentirebbe a Putin di rimanere al comando della Russia, placando le insofferenze dei gruppi di potere in grado di rovesciarlo; e questo con buona pace della popolazione, che oltre ad aver riscoperto la carenza dei generi di prima necessità come fosse il 1990, è tornata a piangere i morti in combattimento come ai tempi della guerra in Afghanistan. Solo che oggi le salme tornano sotto forma di cenere in anonime scatole di metallo: il peggior affronto che si possa fare alle sempre più insofferenti classi popolari russe.