Grand Budapest Hotel: la recensione

Non avevo mai visto prima un film di Wes Anderson; ero molto curioso di capire cosa si celasse dietro ai tanti commenti elogianti i suoi film, al suo modo di far cinema e di presentare le sue storie. Beh, ammetto di essere rimasto stregato.

 

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Grand Budapest Hotel è la più recente realizzazione del regista americano. Nel descrivere la trama mi trovo in difficoltà, perchè in effetti ad un primo sguardo potrebbe sembrare piuttosto banale: un uomo che racconta la sua storia e di come è entrato in possesso di questo albergo. Quello che inizia come un film lento, si trasformerà ben presto in una continuum di rocambolesche avventure, presentate con leggerezza e maestria, tanto da catturare completamente l’attenzione dello spettatore e da condurlo per mano da un mondo concreto e contemporaneo ad uno di qualche anno fa, ricamato ad arte, e che posso piacevolmente definire “di favola”.

 

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Una prima magia di questa pellicola risiede nel modo in cui viene presentato: sembra di essere in un mondo a metà fra il reale e il cartone animato, grazie al massiccio ma non invadente uso di animazioni che, sebbene siano a metà fra i modellini e la computer graphics, riescono ad amagamarsi alla perfezione sfumandosi con la realtà. La resa è armonica e piacevole; in alcuni momenti mi ha ricordato quei vecchi cartoni animati americani degli anni 70 dove su fondali dettagliatissimi i protagonisti muovevano solo occhi e bocca, in altri le vecchie comiche degli anni ’30.

 

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Questo continuo rimando ai tempi andati, unito ad un’ambientazione mitteleuropea, ad un garbo difficile da trovare nelle produzioni odierne e ad una sfacciataggine che non può non strappare più di un sorriso porta ad un risultato superbo. In Grand Budapest Hotel si ride, ma vengono anche toccate le corde dei sentimenti più gentili e non manca un lato avventuroso piuttosto marcato. Sembra quasi di essere in un romanzo di Salgari o di Verne, o dentro uno dei classici che in qualche modo da piccoli ci hanno perlomeno sfiorato (L’Isola Del Tesoro, I Ragazzi Della Via Paal, La Guerra Dei Bottoni, Robinson Crusoe… vanno tutti bene).

 

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Fotografia e musiche sono di altissimo livello, capaci di immergerci completamente nel mondo di Wes Anderson. Le suggestive scene girate in Germania colpiscono per la particolare cura riposta nei dettagli; ottima la prova dei protagonisti Ralph Fiennes e Tony Trevolori, ma anche tutti gli altri attori sono su alti livelli (a partire da Willem Dafoe, Adrien Brody e Jeff Goldblum su tutti). Una menzione ai divertentissimi titoli di coda, ennesima dimostrazione come i film terminino solo quando cessa il suono emesso dal proiettore.

 

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Si vive di gioia e malinconia, in Grand Budapest Hotel. C’è un sorriso costante che vive a braccetto con un senso di nostalgia dei tempi andati, una piccola tristezza nel cuore, di quelle tristezze che derivano da una cosa bella che non c’è più. Wes Anderson ha confezionato un gioiello, un cuscino di raso su cui appoggiarsi e riposare la mente, abbandonandosi ad un mondo vivo che non si può non amare, proprio come non si può non amare questo film.

E a me non resta che recuperare i suoi film precedenti, gustandomeli tutti.

 

Grand Hotel Budapest, 2014
Voto: 9
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