Un film romantico, sognante e doloroso: Lost In Translation è un piccolo, tenero capolavoro cinematografico in grado di colpire nell’animo di chi guarda.
Ci sono film che per loro stessa natura tendono a passare sotto silenzio nonostante l’indubbia qualità. Lost In Traslation è uno di loro: vincitore di un premio Oscar per la migliore scenggiatura originale e di una quantità impressionante di altri premi, il secondo film della figla d’arte Sofia Coppola (il primo è il validissimo Il Giardino Delle Vergini Suicide) è sparito dai radar pur restando una pellicola sontuosa anche a vent’anni di distanza dalla sua uscita nelle sale.
Ambientato in una Tokyo contemporanea, frenetica e dispersiva, Lost In Translation mette a confronto due stranieri che giocoforza passano la maggior parte del loro tempo in un hotel di lusso della metropoli giapponese immersi fra noia e solitudine.
Il magnifico Bill Murray (Stripes, Ghostbusters, Ricomincio Da Capo, Lo Sbirro Il Boss E La Bionda, Ember, Grand Budapest Hotel tra i molti film di successo) interpreta il ruolo di un attore in disarmo, in rotta con la moglie, e che per sbarcare il lunario accetta di recarsi in Giappone per partecipare a mediocri spot pubblicitari per le tv; Scarlett Johansson (Arac Attack, The Island, The Prestige, Il Diario Di Una Tata, i film di The Avengers e di Captain America) quello della ragazza di un fotografo molto richiesto e che la lascia spesso da sola in attesa del suo ritorno. I due si incontrano per caso nel bar dell’albergo e scatta subito una forte intesa nonostante la differenza di età.
Sofia Coppola è bravissima a disegnare due personaggi estremamente credibili, pur concedendo qualcosa alla storia. La loro relazione di amicizia e di sentimento è vissuta come uno spaccato della vita dei due, e per tutta la durata del film non ci si imbatte mai in momenti melensi o forzati. A farla da padrone è la malinconia, la solitudine e la necessità di vivere un riscatto e di essere apprezzati; qualcosa che molte coppie vivono in qualche momento del loro rapporto.
È facile cadere “vittime” di Lost In Translation; è un film delicato, dove l’amore è centrale e il sesso è praticamente assente; dove tutto è sussurrato e dove la perenne rincorsa di un sogno alterna momenti di gioia e di tristezza. È un film di sentimenti puri, apprezzabile da chi riesce ad elevarsi rispetto al piano esclusivamente materiale; qualcosa che può per certi versi ricordare Video Girl Ai, un manga altrettanto d’impatto anche se destinato ad un pubblico di altro tipo.
Maestosa la prova attoriale di Bill Murray; con il suo sguardo perennemente disilluso e avvilito tratteggia perfettamente la storia di un uomo che ha fallito nel suo presente e che è abbandonato a se stesso. Brava anche Scarlett Johansson, all’epoca diciassettenne e già capace di dar vita ad un personaggio vivo, fresco e sincero.
Da citare la presenza in secondo piano di Giovanni Ribisi (L’Uomo Del Giorno Dopo, Salvate Il Soldato Ryan, Il Giardino Delle Vergini Suicide, Fuori In 60 Secondi, Basic, Sky Captain And The World Of Tomorrow, Gardener Of Eden, Nemico Pubblico, Avatar, Ted) e Anna Faris (Scary Movie, I Segreti Di Brokeback Mountain, La Mia Super Ex-Ragazza, Il Dittatore).
Lost In Traslation è un film per chi è capace di apprezzare pellicole dove sono sentimenti ed anima ad essere protagonisti. Come per Still Life, occorre avere il giusto stato d’animo per cogliere appieno le sensazioni che è in grado di trasmettere; non è certo un film per amanti dell’azione o di spettacolarità.