Il Battaglione Azov: una militarizzazione dell’estremismo

Mariupol è il centro nevralgico della guerra combattuta da Russia e Ucraina, e le sue sorti saranno uno snodo fondamentale per la trama del conflitto.

 

 

Il possesso della città ucraina infatti rappresenta un elemento strategico di fondamentale importanza per entrambi gli schieramenti.

Per i Russi significherebbe avere la continuità territoriale fra la Crimea e le due repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk, escludendo quindi l’Ucraina dal Mar d’Azov.
Per gli Ucraini inveve, oltreché essere un fattore basilare per non permettere ai Russi di compattare le proprie forze sul territorio, sarebbe un carburante emotivo di capitale importanza, data la loro inferiorità numerica e militare.

La sua posizione geografica e il suo ruolo da protagonista nei conflitti fra Russia e Ucraina (quello odierno e quello del 2014) agiscono da significanti per l’identità culturale della città: Mariupol è un luogo di resistenza, e una frontiera dell’appartenenza.

 

 

In un territorio di confine, sopratutto se investito da tensioni militari continue, si possono facilmente generare dei forti sentimenti nazionalisti e xenofobi nei confronti del popolo confinante; una reazione socialmente fisiologica finalizzata al rafforzamento dei propri confini attraverso una professione, spesso violenta, di identità nazionale.

Non è un caso infatti che a pochi chilometri da Mariupol, precisamente a Urzuf, nasce e ha sede il Battaglione Azov, un’unità dell’esercito ucraino con compiti militari e di polizia la cui matrice ideologica genera non poche controversie nel scenario politico ucraino e internazionale.

Le proteste di Piazza Maidan del 2013 contro l’ex presidente Viktor Yanukovich e la sua rinuncia agli accordi di partnership con l’Unione Europea sono l’incubatrice sociale del Battaglione Azov.
Le manifestazioni di quei giorni infatti tracimano ben presto in scontri di piazza, duranti i quali emergono diversi gruppi politici e paramilitari dell’estrema destra ucraina, come Svoboda, partito estremista nato dalle ceneri dell’organizzazione eversiva Tryzub, desiderosi di rompere definitivamente i legami culturali e politici con l’ingombrante vicino russo.

Nel febbraio del 2014 il Parlamento ucraino destituisce Yanukovich dalle sue funzioni presidenziali e, per marcare una netta frattura col recente passato politico del paese, concede un’amnistia a tutti i prigionieri incarcerati per motivi politici.
Proprio grazie a questo provvedimento riassapora la libertà anche Andriy Biletsky, nativo di Kharkiv, laureato in storia con una tesi sull’esercito insurrezionale ucraino, con all’attivo una lunga militanza nelle fila dell’estrema destra ucraina.

 

 

Il manifesto ideologico di questa organizzazione si fonda sull’idea di una necessaria crociata che l’uomo bianco cristiano deve intraprendere contro le altre minoranze presenti sul territorio per affermare la sua superiorità culturale, e ripristinare un ordine sociale che sia impernato sul dualismo identità-nazione.

Quando nel maggio del 2014, poche settimane dopo la perdita della Crimea, gli oblast di Doneck e Lugansk si dichiarano repubbliche popolari indipendenti, nell’est del paese si verifica una deflagrazione civile che porta allo scontro: da una parte i ribelli filorussi appoggiati da Mosca; dall’altra l’esercito ucraino, deciso a collaborare con diverse organizzazioni di estrema destra per accrescere rapidamente le sue fila ed il suo potenziale offensivo.

È proprio in questo frangente che Biletsky fonda, proprio nel maggio del 2014, il gruppo paramilitare Battaglione Azov, arruolando uomini provenienti principalmente da Patrioti dell’Ucraina, da Pravij Sektor e da SNA, tutte organizzazioni orbitanti nella galassia della destra eversiva, ma anche dalla curva della squadra di calcio della Dinamo Kiev, copiando perfettamente il modus operandi del generale Arkan in Serbia.

L’onda dei ribelli filorussi, fino a quel momento ingestibile per l’esercito ucraino ormai quasi rassegnato al ripiegamento e alla perdita anche dell’area di Mariupol, si infrange sulla caparbietà d’animo e sulla capacità bellica dei volontari del Battaglione Azov che riescono, nel settembre del 2014, a respingere lontano da Mariupol i ribelli, scegliendo poi la città come quartier generale del Battaglione.

Ovviamente, per vincere una guerra o una battaglia non bastano unicamente lo spirito e la tenacia, ma servono sopratutto diversi milioni di dollari da investire in armi, mezzi, approvvigionamenti e salari militari.

Essendo il Battaglione Azov un corpo paramilitare non appartenente all’esercito ucraino, i fondi per il supporto di quest’ultimo vengono stanziati da diversi privati e facoltosi cittadini ucraini: oligarchi come Igor Kolomoisky e Serhiy Taruta, intimoriti dal possibile danneggiamento dei loro affari in seguito ad una conquista russa, finanziano copiosamente il Battaglione, certi che esso rappresenti l’unica possibilità per l’Ucraina di resistere ai ribelli filorussi.

La resistenza dimostrata dalle forze militari e paramilitari ucraine, e il conseguente stallo dato dall’impossibilità per entrambi gli schieramenti di avanzare, portano agli accordi di Minsk, dove vengono sancite le zone di confine fra lo Stato ucraino e le due repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk.

 

 

Nel 2015, l’allora presidente ucraino Poroshenko decide, visti i meriti di guerra, di annettere il Battaglione Azov all’esercito regolare ucraino, per poi promuoverlo al rango di Reggimento Operazioni Speciali, rendendo così tutti i suoi membri militari e dipendenti ufficiali dell’esercito ucraino, stipendiati e sottoposti quindi alla legislazione civile e militare. 

La scelta viene contestata da diversi stati, in primis dalla Russia, che accusa il governo ucraino di sostenere ed alimentare posizioni russofobe e naziste, e da numerose organizzazioni internazionali, come Amnesty International o l’OCSE, che accusano il Battaglione Azov di essere l’artefice di torture ai danni di militari e popolazione civile filorussi, e dell’occultamento di diverse centinaia di cadaveri in fosse comuni.

Il ruolo del Battaglione Azov nel conflitto odierno fra Russia e Ucraina è ancora più centrale poi rispetto a quello avuto in passato, infatti il raggio di operatività del Battaglione si è enormemente allargato, e diversi suoi contingenti stanno attualmente combattendo nella zone di Kiev, di Kharkiv, di Dnipro, e di Zaporizjja, guidando le altre unità dell’esercito ucraino in guerriglie urbane e agguati ai danni dei mezzi pesanti russi.

Negli ultimi giorni i mass-media occidentali hanno espresso il loro disappunto in merito alla centralità che un gruppo di ex paramilitari di estrema destra sta acquisendo all’interno dell’esercito ucraino a causa di questo conflitto.

Il problema dell’ascesa dell’estrema destra in Ucraina tuttavia non si è manifestato solamente negli ultimi mesi, ma è il frutto di un processo lungo vent’anni durante i quali le aspirazioni ucraine di totale libertà dalla galassia d’influenza russa si sono esacerbate anche a causa di un disinteresse sociale dell’occidente nei confronti dell’Ucraina.

 

 

La situazione futura sarà sicuramente intricata, qualsiasi sia l’epilogo della guerra; se l’Ucraina resisterà, l’occidente sarà in grado, tramite aiuti e cooperazioni politiche, di debellare il nazionalismo estremo che serpeggia in diversi ambienti ucraini?

Ai non troppo posteri l’ardua sentenza.

Per condividere questo articolo: