Il dibattito sui cambiamenti climatici sta spaccando l’opinione pubblica; ma si può davvero sostenere la normalità dei fenomeni climatici che tutti stiamo vivendo?
I cambiamenti climatici sembrano essere negli ultimi anni il nuovo argomento di discussione preferito dai politici e dalle persone comuni; il dibattito sul clima sembrerebbe aver seguito il trend sociale attuale, e gli schieramenti si sono polarizzati in maniera diametralmente opposta.
Da una parte ci sono coloro i quali negano il peso specifico che le attività umane hanno esercitato nell’ultimo secolo sull’ambiente, e i relativi cambiamenti climatici da esse causati; dall’altra invece ci sono tutte quelle persone convinte che l’uomo con le sue attività abbia compromesso in maniera irreversibile l’equilibrio climatico terrestre, e che i cambiamenti climatici attuali siano il preludio di futuri e ben più gravi sconvolgimenti.
La parte dell’opinione pubblica che nega gli effetti dell’uomo sul clima si appella molto spesso ai cicli climatici che hanno caratterizzato la lunga storia del pianeta, e che hanno portato nel corso del tempo all’alternanza di periodi glaciali e periodi interglaciali.
Questa alternanza è ovviamente inopinabile: la scienza ha dimostrato già da anni che le attuali caratteristiche geomorfologiche del pianeta sono proprio il risultato di questa alternanza di periodi più freddi e periodi più caldi. Questa alternanza è causata da vari fattori legati all’orbita terrestre e ai tipi di movimenti che la terra compie rispettivamente alla posizione del sole e al suo asse di rotazione.
Affermare dunque che la Terra sia destinata a continui cambiamenti climatici sulla media e grande scala è concettualmente corretto, ma all’interno di questa valutazione andrebbero considerate probabilmente anche altre variabili per onestà intellettuale; il punto infatti è la velocità con cui le temperature cambiano, e soprattutto il tipo di cause che ci sono dietro certi cambiamenti.
I livelli di anidride carbonica sono i più alti di sempre, intere città in Asia e in Africa sono avvolte da una coltre di aria colma di polveri sottili che rende spettrale sia il paesaggio che il futuro dei cittadini, isole di plastica galleggiano negli Oceani e contaminano flora e fauna di cui usufruiamo in primis noi esseri umani; ci può essere dibattito su questo?
Probabilmente non si dovrebbero negare queste evidenze che sono empiriche in quanto fatti reali inequivocabilmente percettibili; all’interno del dibattito dunque può risultare difficile negare non solo l’esistenza di queste dinamiche, ma anche il ruolo dell’uomo in relazione ad esse.
Eppure il relativismo assoluto sembra dover essere la principale direttrice da seguire e rispettare all’interno di ogni discussione, e se l’opinione è sacra in diversi ambiti forse non dovrebbe esserlo quando ci si approccia a temi indagati ed accertati attraverso metodologie scientifiche affermate e dunque replicabili e dimostrabili.
Esporre opinioni su questioni scientifiche senza la cognizione di causa di un professionista può essere deleterio per l’evoluzione di quel dibattito, soprattutto quando certe opinioni vengono espresse da personaggi con più che discreti seguiti; questo processo poi è ovviamente catalizzato e amplificato dall’iperspazio comunicativo che unisce la nostra società in toto e la caratterizza.
La scientificità dovrebbe sempre guidare certi dibattiti, e dovrebbe anche auspicabilmente esercitare una sorta di azione spartiacque fra le varie opinioni, separando quelle giuste e necessarie da quelle superflue e dunque accessorie e facilmente strumentalizzabili. Le opinioni infatti che non provengono da enti o persone legate all’ambito scientifico sembrano essere spesso legate alla nascita di teorie dal sapore complottistico, quasi anacronistiche per certi versi rispetto alla soglia del progresso raggiunto.
Non dibattere sulle azioni da compiere per ridefinire il nostro sistema di vita socio-economico in chiave più ecologica, ma fermarsi ancora prima a discutere se ci siano effettivamente motivazioni così gravi per farlo, è un enorme spreco di tempo sia nei nostri confronti che, soprattutto, nei confronti delle generazioni future.