C’è Ancora Domani: la recensione

Sono diciannove le nomination al David di Donatello per l’esordio alla regia di Paola Cortellesi; il  film le vale o è una pellicola molto sopravvalutata?

 

C'è ancora domani recensione

 

Il primo film alla regia di Paola Cortellesi si chiama C’è Ancora Domani e tutti gridano al miracolo; eppure ad avere in sentore che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato non siamo in pochi, e c’è davvero da irritarsi. Ogni singola scelta della comica romana è al limite del discutile ma sapientemente travestita da quella fuffa che a Milano piace tanto e ai parrucconi della critica cinematografica manda in visibilio; a partire dal bianco e nero del lungometraggio, 118 minuti di follia pura, che cita in modo imbarazzante De Sica e tutto il neo realismo (quello vero) del dopoguerra. La stessa voglia di far recitare gli attori in romano stretto richiama Anna Magnani e Aldo Fabrizi, ma questa volta ci sono l’attrice capitolina e Valerio Mastandrea. Un po’ come dare la maglia di Maradona allo zio grasso di cinquant’anni solo perché ha i capelli ricci.

 

C'è ancora domani recensione

 

Per carità, le intenzioni artistiche sono anche alte. Con C’è Ancora Domani la Cortellesi vuole sensibilizzare il paese ad un maggior rispetto per le donne; questo non solo è condivisibile ma merita di certo un plauso. Il problema è, citando un noto adagio popolare, che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. La situazione domestica di Delia non è tragica, è comica. Va bene demonizzare l’uomo violento, in questo caso Ivano, ma il marito è più che altro un disturbato di mente: gonfiare di botte la moglie solo perché ha bruciato le patate sui fornelli, per fortuna, raramente fa parte dell’esperienza di vita di qualcuno di noi.
Anche l’ignoranza di tutti i protagonisti è vera solo in parte. Tantissime donne insegnanti di quel periodo (gli anni cinquanta) si sono prese diplomi e lauree per esercitare la professione e l’Italia alzò così tanto il livello medio di istruzione da approdare poi nel famoso boom economico degli anni sessanta.

La recitazione, poi, è delirante. Di certo ha giocato a sfavore il fatto che per la Cortellesi fosse la prima volta dietro l’obiettivo, ma Mastandrea è da arresto. Sembra sempre che non creda alla sua cattiveria; fa lo stronzo, ma con lo sguardo in camera di chi vorrebbe dissociarsi in modo netto dal personaggio. Vinicio Marchioni è una maschera di cera che Sylster Stallone in confronto sembra Gassmann. I due rendono meglio nella pessima pellicola Arrivano I Prof, e non è certo un complimento.

L’unica a salvare la baracca (e la reputazione) è Emanuela Fanelli, divertente e solida al punto giusto; ma proprio lei simboleggia lo scempio di C’è Ancora Un Domani: un film che vorrebbe raccontare la vera storia delle donne che tutti noi abbiamo fatto finta di non vedere ci mostra una fruttivendola di mercato più ricca di Berlusconi negli anni novanta e più colta di Umberto Eco nei corridoi dell’università. Ma davvero dobbiamo accettare tutto questo?

Il finale propone un bel colpo di scena e tira su il morale di chi si sente offeso dalla visione di un presunto capolavoro che di capolavoro non ha neanche il profumo. Per ricordarcelo, però, il tutto chiude con una canzone minore di Daniele Silvestri, amichetto della regista e simbolo di una Roma che finge di voler cambiare il mondo e invece cambia solo il proprio conto in banca.

Parafrasando Woody Allen, provaci ancora Paola!

C’è Ancora Domani, 2023
Voto: 4
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